domenica 29 giugno 2008

KENSHIN SAMURAI VAGABONDO
Autore: Nobuhiro Watsuki
Serializzazione: 1994 - 1999
Casa editrice: Star Comics
Formato: manga (28 volumi)



Giappone, primi anni dell'Era Meiji. Lungo le strade di Tokyo si aggira un giovane spadaccino simpatico e ingenuo, che porta con sè una spada a lama invertita (una spada quindi che non può tagliare le persone). Kenshin Himura è il suo nome, e finisce presto col legare amicizia con la spadaccina Kaoru, il giovane Yahoko e l'attaccabrighe Sanosuke Sagara. Dietro la facciata di simpatico idiota Kenshin nasconde però un passato sconvolgente: è quello che al tempo della guerra veniva ricordato come Battosai, lo spadaccino assassino che si occupava di assassinare i pezzi grossi dell'ex shogunato dei Tokugawa. Kenshin è infatti il maestro della scuola assassina Mitsurugi Hiten, la più letale del mondo, e per espiare i peccati commessi in guerra decide di porre la sua arma al servizio dei più deboli. Affronterà così diverse avventure, che lo porteranno ad conoscere diversi alleati e nemici, questi ultimi spesso e volentieri nostalgici dello shogunato...

Ogni tanto è bello notare come, in mezzo a migliaia di shonen tutti uguali, vengono alla luce delle opere molto meno stereotipate del solito, capaci davvero di raccogliere l'eredità di DragonBall di immediatezza addictive (e che magari hanno una storia molto migliore di quella di Son Goku e co). Rurouni Kenshin, creato nel 1994 da un mangaka quasi debuttante, è l'esempio lampante che anche in mezzo a fumetti per forza di cose ripetitivi come gli shonen, si trova sempre qualcosa di valore. Tutto parte secondo lo schema predefinito di mille altri manga di successo: un episodio pilota ha spianato il successo alla serializzazione lunga. Nel caso specifico, prima di nascere Kenshin ha dovuto uscirsene prima con ben due episodi pilota, usciti nel 1992 e nel 1993 (e raccolti nei volumi 1 e 3 del manga) nel solito Weekly Shonen Jump, ed è solo il secondo che ha riscosso il successo che l'autore necessitava per continuare a disegnare. E, è il caso davvero di dirlo, Rurouni Kenshin (Kenshin samurai vagabondo nell'edizione italiana) è davvero un fumetto notevole che si legge con voracità più e più volte, merito di una collaudata serie di suoi tratti specifici che garantiranno così all'opera anche un ottimo successo animato (ispirerà una bella serie televisiva, un lungometraggio e due superbi oav). Primo di essi è sicuramente da ricercare nel contesto storico scelto, ossia quell'Era Meiji nata dalla rivoluzione (portata avanti dai cosidetti "samurai ambiziosi") che spianerà quindi la strada del Giappone all'era moderna: Rurouni Kenshin affascina perchè ambientato in un'era affascinante, e sopratutto perchè mischia realtà e finzione. Le classi sociali, le fazioni, le figure politiche sono tutti quelle reali storicamente, ma allo stesso tempo le varie avventure immaginarie di Kenshin, che arriveranno quasi a cambiare la storia stessa del Giappone, sono mischiate con quelle vere garantendo un'alternativa rilettura storica. Le atmosfere da "storia di samurai" sono ovviamente presenti, con i classici topoi del genere (duelli leali, codici d'onore, tecniche segrete, lunghi silenzi, passeggiate o rivelazioni importanti sotto i ciliegi, romanticismo, conflitti interiori), ma anche in questo campo Watsuki si sbizzarrisce modernizzandoli con ogni genere di idee fresche e attuali, divertendosi ad inserire in contesti storici molte tecniche segrete assurde degne di un Samurai Spirits, o personaggi dal look da fumetti Marvel (uomini-mummia, cloni di Venom, etc.). In un calderone che mischia vecchio e nuovo, passato e presente, fumetto impegnato e fumetto d'intrattenimento puro, l'unica cosa oggettiva è che il gioco regge, perchè se anche inattendibile nella coerenza storica questo fumetto piace, si legge che è un piacere, è appassionante e ogni volume si divora in un secondo. Cos'altro manca poi per rendere un qualsiasi manga un best-seller? Sicuramente i disegni, ed anche qui di Kenshin se ne parla solo bene visto che nel suo caso sono semplici ma d'effetto, dinamici e veloci (senza ma essere eccessivamente confusionari nelle scene di battaglia), con buonissimi sfondi ed un ricercato ed intrigante look di tutti i numerosissimi personaggi. A questo aggiungiamoci un perfetto dosaggio di scene umoristiche (numerosissime e realmente divertenti) e drammatiche, una buonissima caratterizzazione generale dei personaggi, e sopratutto la lunga e meravigliosa saga (detta "di Kyoto") che parte dal volume 7 ed arriva al 17, che rappresenta un coinvolgente piccolo capolavoro di avventura magistralmente sceneggiato in ogni sua minima componente, pieno di personaggi memorabili (il folle Makoto Shishio e Hajime Saito in primis). Dopo però una lunga avventura praticamente perfetta quasi sempre è inevitabile aspettarsi un calo di qualità, e anche Kenshin non fa eccezione: l'ultima lunga saga (detta "del jinchu") che va dal 18esimo al 28simo volume e che esplora tutto il passato di Kenshin, ha un soggetto intrigante ma una realizzazione mediocre. Non si capisce infatti perchè una semplice storia di vendetta personale tra due uomini debba venire tirata in modo tale da giustificare 11 volumi, quando togliendo tutti i vari filler si poteva realizzare tutto in massimo 6. Oltretutto leggendo la storia viene anche l'assurdo sospetto (poi ufficialmente confermato) che l'autore voleva disegnare successivamente un'altra saga ancora ma che per noia abbia voluto chiudere tutto, perchè altrimenti non si spiegherebbe tutto lo spazio dato, negli ultimi volumi, alla crescita ed alla maturazione di diversi personaggi quando questa crescita ha una parte assolutamente irrilevante ai fini della conclusione finale. Pur terminando nella prevedibilità e nel consueto happy ending, Kenshin samurai vagabondo è comunque un manga di qualità altissima per oltre metà serie, e anche quella dopo, pur lineare e semplicistica, è comunque di uno standard più che sufficiente. Kenshin è uno shonen ormai raro, tra i migliaia che vengono disegnati negli ultimi tempi: storicamente ha molte inesattezze ed esagerazioni, verosimilmente tende allo zero, eppure la sua immediatezza incredibile, la buona sceneggiatura generale e gli intriganti disegni riescono davvero a far digerire tutto, a emozionarsi ugualmente vedendo bei tenebrosi dai capelli affogati nel gel fare a pezzi 6 uomini con un solo attacco di kodachi (spada/pugnale di piccole dimensioni) o effeminati adolescenti muoversi quasi alla velocità della luce sfruttando una velocità divina. Kenshin samurai vagabondo è la quintessenza del vero shonen: una storia per ragazzi piena di fanservice, commerciale quanto si vuole, ma intrigante, ben scritta, lineare e talmente accattivante che dopo aver letto ogni volume vi verrà istintivamente voglia di divorare anche quello dopo. Se amate queste sensazioni e riuscite a correre sulla prevedibilità del consueto schema "infiniti combattimenti" che caratterizza Kenshin come tutti gli shonen, l'opera di Watsuki è tra le migliori della sua categoria e merita di essere letto. Peccato però per l'edizione usa e getta della Star Comics. Nota: al termine del manga l'autore disegnerà anche un episodio speciale intitolato Yahiko no Sakabatō (letteralmente La spada a lama invertita di Yahiko), purtroppo non pubblicato in coda al volume finale e quindi tutt'ora inedito in Italia.
Curiosità: il personaggio di Kenshin Himura è ispirato al samurai Kawakami Gensai, uno dei quattro più famosi assassini del periodo Bakumatsu.

sabato 28 giugno 2008

MASSACRE
Regia: Andrea Bianchi
Attori: Gino Concari, Maurice Poli, Patrizia Falcone, Piermaria Cecchini, Robert Egon
Anno: 1989
Provenienza: Italia



Un regista horror a corto di idee decide, col consenso della troupe, di organizzare una seduta spiritica per fargli arrivare nuove idee. Peccato che, durante il rituale, lo spirito di Jack lo Squartatore prenderà possesso del corpo di uno dei partecipanti. Ed inizieranno quindi innumerevoli omicidi...

Nuova perla di Andrea Bianchi, che tra ridicole ragazze possedute dal demonio e zombi falegnami ha tentato per tutta la carriera di oltrepassare il limite massimo del trash e dell'erotico, rimanendo sempre comunque ben distante dalla creatività di un Mattei qualsiasi. Massacre, uno dei suoi ultimi film, è probabilmente il testamento ideale di uno dei peggiori registi che l'Italia abbia mai avuto la sventura di conoscere. Tutti i tratti del cinema bianchesco sono infatti qui mantenuti ed estremizzati: attori insignificanti, regia basica e disastrosa (sfocature, traballamenti, etc), sesso e scene di nudo totalmente esaperate e gratuite, dialoghi involontariamente ridicoli e sceneggiatura delirante. Nel caso specifico Massacre abbandona i temi soprannaturali del passato per entrare più in campo thrilling, ma anche qui Bianchi fa solo ridere. Iniziamo col dire che in questo film ci sono non uno, non due ma bensì tre assassini, e con le vicende principali del film ne c'entra solo uno! Avete capito bene: per stupire gli spettatori (che stupidi a questi livelli certo non sono) Bianchi ha le demente trovata di mischiare, assieme alle vicende del misterioso assassino, anche quelle di altri due killer a tempo perso, con risultati assurdamente ridicoli vista l'assoluta ridicolaggine di cercare di far sembrare collegate tra loro le vicende di questi tre folli! Il finale a sorpresa poi, che tenta davvero di mettere in relazione due di loro, è tra le più grandi buffonate che il cinema di genere (ma sarebbe meglio dire degenere) abbia mai partorito! Notevoli sono, come avrete già capito, le potenzialità di questo film per gli amanti del trash. E difatti questa categoria non potrà non apprezzare questo piccolo cult, che fin dalle battute iniziali rivela il suo spirito trashoso attraverso esclamazioni culto ("regista di merda!"), nuove aggiornamenti per il vocabolario ("che frocia!") e dialoghi epocali ("Vergognati puzzi di whisky!” - "sempre meglio che puzzare di merda!"). Ma non è finita qui: Bianchi abbonda molto più del solito in scene softcore e di nudo, arrivando a spezzettare il ritmo e la "tensione" di alcune sequenze "horror" con scene erotiche di una gratuità tale da provocare risa assurde (emblematica la sequenza che vede due idioti consumare in macchina con il killer che si avvicina a loro a velocità bradipesca, in modo che l'amplesso possa essere filmato il più possibile!). Bianchi poi arriva addirittura a sfiorare la perfezione bruttesca girando un piano-sequenza lunghissimo, che mostra un omosessuale fare spogliarelli e vestirsi in modo osceno più e più volte, in oltre 5 minuti di girato! Stiamo parlando di una sequenza trash assurda, totalmente gratuita ed irrilevante ai fini della trama, talmente oscena e demente da meritare di entrare nell'olimpo del genere. Tolte queste perle, i brutti effetti speciali gore e alcune inverosimilità colossali e inspiegabili da far schiantare dalle risate, purtroppo bisogna anche constatare che, come sempre, anche questo Massacre mantiene i difetti biancheschi che non possono essere apprezzati neanche agli amanti del cinema-spazzatura: il ritmo generale è lentissimo, ci si annoia notevolmente a guardare il film, e il finale come sempre giunge come una liberazione dalla noia piuttosto che come climax delle risate. In ogni caso, se dovete scegliere uno degli "horror" di Bianchi da vedere, Massacre è probabilmente il meno noioso.
IL PREDATORE
Regia: Jack Schoulder
Attori: Chris Potter, Alex Reid, José Sancho, Neus Asensi, Spice Williams
Anno: 2001
Provenienza: Spagna



Una troupe di ricercatori viene inviata in un'isola a sud dell'oceano pacifico, alla ricerca di antidoto per curare il veleno di una nuova specie aracnide sconosciuta. Guidati dalla bella Mercer, in cerca del fratello scomparso, lo sventurato gruppo dovrà fare i conti con gli attacchi della nuova razza di super ragni, provenienti da un altro pianeta...

Diretto dal mestierante Shoulder, Il Predatore è sicuramente la prova che anche nel cinema low budget si possono inaspettatamente nascondere film interessanti. Quello che fin dalla copertina e dalla trama si presenta come l'ennesimo trash low budget prodotto dalla Fantastic Factory di Yuzna, si rivela con l'andare avanti della visione un discreto b-movie molto scorrevole e in più riprese davvero interessante. Il primo impatto è pessimo: una ridicola cg very very low budget mostra un caccia militare esplodere in aria e finire risucchiato da un vortice oceanico di trashose proporzioni. Le cose non sembrano andare meglio dopo, quando la spedizione di ricerca viene inviata nell'isoletta: ecco che di punto in bianco un militare inizia a sparare ridicolarmente su un cespuglio che s'è appena mosso, domandandosi solamente dopo di cosa poteva trattarsi! Le risate in questi frangenti si sprecano, ma saranno presto destinate a spegnersi: da quel momento in poi il film continuerà a mantenere un profilo serioso che non scadrà più nell'involontario ridicolo, ma che continuerà invece a mantenere desta l'attenzione con un buon sviluppo della trama, un buonissimo disegno di tutti i personaggi, molta azione ed avventura e sopratutto un finale incredibilmente aperto e totalmente inconcluso che fa venire davvero voglia di reclamare un sequel. Il Predatore è davvero il film che non t'aspetti: probabile che il giudizio cambierebbe se la protagonista Alex Reid, praticamente identica a Lara Croft, non fosse così assurdamente bella e brava a recitare; probabile che cambierebbe se non fosse che ci si affeziona discretamente ai due personaggi principali; e forse cambierebbe se invece di guardare la buona storia sotto ci si concentrasse maggiormente sulla povertà dei mezzi tecnici e delle ridicole movenze dei ragni giganti, ma Il Predatore è così inaspettato nei suoi sviluppi, così inaspettato nel rovesciare i consueti clichè e così scorrevole, che è il classico caso di filmetto senza troppe pretese che riesce a trovare un'inaspettata dignità da poterla reclamare con orgoglio, rispetto a molte altre schifezze con cui verrà purtroppo accostato, lì nei grandi cestoni in offerta nei centri commerciali.

venerdì 27 giugno 2008

LA CASA DEL SORTILEGIO
Regia: John Wintergate
Attori: John Wintergate, Kalassu, Alexandra Day, Joel Riordan, Brian Bruderlin
Anno: 1982
Provenienza: USA



Uno scrittore di romanzi del terrore decide di mettersi alla prova lasciando la città per andare a vivere in campagna, in una casa lugubre e tenebrosa simile a quella che descrive nei suoi romanzi. L'uomo però non sa che la casa è popolata da spettri assassini che lo disturberanno con le loro frequenti apparizioni...

Trovate intrigante la trama? Bene, sappiate che il plot riportato dietro la confezione del (pessimo) dvd della Quinto Piano non c'entra assolutamente nulla con il contenuto del film. La trama di questo lungometraggio di quasi due ore è assolutamente inspiegabile, contro ogni logica, ignobile parto di una mente malata. Chiamare però "film" questo coso è forse una delle più grandi bestemmie che l'umanità possa ricordare: La Casa del Sortilegio è un film orribile per gente orribile, l'esempio lampante che l'uomo deve aver fatto qualcosa di terribile nel passato per meritarsi quest'apocalittica schifezza capace di portare ad una profonda depressione chinque abbia l'ardire di guardarla. Proviamo vagamente a spiegare qual è davvero la trama di questo coso: c'è una solare villetta di città che viene affittata ad una comitiva di ragazze insulse come poche, e assieme a loro si unisce anche un clone trash di Sting (lo stesso regista Wintergate) che oltre alla capacità di telecinesi ha anche una faccia epicamente ridicola. Ecco, in questa inquietante villa dove ogni tanto le ragazze fanno incubi incomprensibili (che riguardano una sorta di maiale killer assassino) e consumano con il ridicolo tipo, iniziano ad avverarsi numerosi omicidi di diverse di esse ed incidenti strani, con l'inquietante particolarità che sembra che le superstiti non fanno mai caso che una delle loro amiche non c'è più. Si continua così fino ad un party di imbecilli nel finale, dove si scopre l'inquietante verità: l'assassina è una delle ragazze, figlia del demonio (o qualcosa di simile) e che ha poteri psichici, e che si troverà ad affrontare un'altra sua coetanea che scopre anche lei di avere strani poteri. Sembra demenziale? Può darsi, il problema è che pur essendo probabilmente uno dei più grandi trash di tutti i tempi, La Casa del Sortilegio è semplicemente definibile come film "ignobile". Ha un montaggio agghiacciante (senso dei tempi cinematografici pari a -10), una regia risibile, attori ignobili, una sceneggiatura incomprensibile e fuori da ogni logica e realtà, effetti speciali epocalmente brutti (una macchia di caffè multi-colorata dovrebbe simboleggiare una presenza ectoplasmatica?!), personaggi che appaiono di punto in bianco in alcune sequenze senza alcuna spiegazione, nomi che cambiano da una sequenza all'altra (emblematico James, che a volte cambia nome in Jack!) ed ogni altra schifezza che possa farvi venire in mente... ma non fa ridere. No, La Casa del Sortilegio offre un menù potenzialmente eccezionale per ogni amante di film orridi, ma è così lento, spento, svogliato e privo di qualsiasi tipo di dialogo comico, che arriva alla poco invidiabile capacità di far sprofondare chi lo guarda in una sorta di catalessi che fa perdere pure la voglia di alzarsi dalla poltrona per chiudere la tv e farla finita con il martirio. La Casa del Sortilegio ti fa perdere voglia di vivere, di guardare altri film trash (di migliore caratura), di essere felice... ti condanna a sprofondare in un oblio di noia e sonnolenza (esaltati dalla sua durata: quasi 120 minuti di profondo schifo!) dagli effetti imprevedibili. La Casa del Sortilegio è la quintessenza dell'aggettivo "mortifero" e quindi, sicuramente, uno dei picchi più degenerati del cinema che l'umanità ricordi. Consigliato unicamente a chi vuole farsi molto, molto male.
Curiosità: la storia stessa della produzione del film la dice davvero lunga sul perchè di questo risultato nefasto. Sembra che verso metà film si sia deciso di virare le atmosfere "seriose" vissute fino a quel momento nella commedia, ottenendo infine un orrido miscuglio che faceva schifo in qualsiasi modo lo si volesse vedere.
CAPRICCIO VENEZIANO
Regia: Bruno Mattei
Attori: Emily Crawford, Juliana Jerrugan, Gualberto Parmeggiani
Anno: 2002
Provenienza: Italia



A Venezia la giovane Roberta incontra Lorenzo, un disinibito pittore anticonformista che la conquista subito, coi suoi modi stravaganti. Il pittore farà conoscere alla ragazza ogni sorta di gioco erotico, portandola a perdere la testa completamente per lui...

Capriccio Veneziano, girato in contemporanea con Privè, è l'ennesimo straight-to-video spazzatura di Mattei consigliato unicamente ai fan di uno dei registi più trash che il cinema italiano abbia mai conosciuto. Il genere (come suggerito dal titolo) è erotico, ma anche in questo campo questo noioissimo film non riesce davvero a dire quasi nulla, imprigionato in una svogliatezza, in una mancanza d'idee e d'identità che lo rendono a tratti infinito, insopportabile, noiosissimo e per nulla eccitante (e tralaltro la Emily Crawford non si può certo definire una bomba sexy!). Anche volendo fare finta di non accorgersi dei numerosi plagi dal 9 settimane e 1/2 di Adrian Lyne (in ambito dei vari giochetti erotici scelti da Lorenzo) e delle numerosissime sequenze riciclate più volte nello stesso film (forse per renderlo lungo il minimo per farlo classificare come lungometraggio), sarà impossibile infatti non rischiare di addormentarsi sulla poltrona nel vedere un disegno dei personaggi e delle situazioni così assolutamente sterile e vuoto, tanto che se non avete voglia di farvi qualche rara risata potete tranquillamente evitarlo come la peste. Risate che andranno a ricercarsi nel brano iniziale di musica classica (quartetto opera 18 n.4 in do minore 1', 2', 3' movimento di Beethoven) ripetuto in maniera ossessiva per quasi 10 minuti, nel dialetto veneziano spesso parlato ("bea mona!") ed alcune sequenze altamente ridicole, tipo un brano metal inserito durante un demente inseguimento dei due piccioncini da parte di due gondolieri furenti. Il resto è solo noia, pattume e mancanza di personalità, che rendono questo schifo quasi indegno del leggendario regista in questione. Delusione totale.
BATTLESTAR GALACTICA - LA MINISERIE
Regia: Ronald. D. Moore
Attori: Edward James Olmos, Mary McDonnell, Katee Sackhoff, Jamie Bamber, James Callis, Michael Hogan, Tricia Helfer, Grace Park
Anno: 2003
Provenienza: Canada



In un lontano futuro dove gli esseri umani hanno colonizzato una buona parte dell'universo fondandovi 12 gigantesche colonie, i Cycloni dichiarano loro nuovamente guerra. I Cycloni sono automi creati dalla stessa razza umana 40 anni prima, e che quindi si sono ribellati verso i loro stessi creatori portando ad una spaventosa guerra che si concluse con un armistizio. Adesso però gli automi ricominciano una nuova sanguinosa rivolta, che con un atto fulmineo distrugge buona parte della razza umana. In uno scenario di distruzione totale e pieno di incertezze il destino muove numerose strade che finiranno per incontrarsi: quella dell'equipaggio della Battlestar Galactica, ultima gigantesca nave da guerra a disposizione della razza umana; quella di Gaius Baltar, l'uomo che ha involontariamente tradito l'umanità facendo accedere la sua donna (un Cyclone) a informazioni riservate delle forze di difesa; e quella di Laura Roslin, una donna che finirà col diventare ultimo presidente degli USA, col compito di riorganizzare la difesa dei sopravissuti ergendosi ad ultimo baluardo della razza umana...

Nel 1978 in America esce Battlestar Galactica, telefilm sci-fi che finirà col divenire, nel tempo, una autentica serie cult di fantascienza. La serie verrà brutalmente interrotta nel 1979 alla fine della prima stagione per problemi di budget e share, portando quindi uno zoccolo duro di fans e alcuni dei suoi attori e cercare in ogni modo di convincere la Universal, studio cinematografico produttore, a continuarlo. E' così che, dopo 23 anni, finalmente la Universal deciderà di sondare la possibilità di dare un seguito alle avventure dell'equipaggio della BattleStar Galactica. Nel 2003 se ne esce quindi con questo film di 3 ore circa, un vero e proprio remake che si occupa di sintetizzare totalmente i fatti della serie televisiva per riportarli alla mente dei fans ed alle nuove generazioni, per vedere se vi sarà abbastanza share da giustificare un vero e proprio sequel. Bisogna quindi dire che se questo film doveva servire come revival per riportare in auge il franchise di BattleStar Galactica, l'obiettivo è raggiunto per metà. Sicuramente i fans dell'originale, veterani, apprezzeranno molto questo filmone di 3 ore che, tecnicamente ben diretto e ben interpretato, sintetizza benissimo i personaggi ed i fatti del telefilm originale ponendosi come ideale episodio pilota del tanto sospirato sequel. Tecnicamente infatti il film merita solo lodi: la minacciosa colonna sonora di Richard Gibbs ben aiuta a imprimere cupezza e tensione ad ogni battaglia spaziale con gli alieni, e sopratutto le scenografie hi-tech realistiche e non eccessivamente esagerate ben aiutano a mantenere un profilo realistico alla vicenda. L'efficace regia di Moore (già collaudato regista di diversi film e serie televisive di Star Trek) e gli ottimi effetti speciali fanno il resto, ma tutti questi pregi non aiutano le nuove leve a riuscire ad apprezzare totalmente questo film, sopratutto perchè non si sta parlando di un vero e proprio lungometraggio dal senso compiuto bensì di uno special che ha il compito di sintetizzare un sacco di avvenimenti. Da questo si spiegano la frammentarietà delle situazioni, gli approfondimenti psicologici lasciati a metà, l'estrema sintesi con cui vengono affrontate numerose situazioni importanti. Tutto ciò si ripercuote sul gradimento generale e questo porta, di riflesso, anche ad avere poca ispirazione nel guardarsi la lunga serie televisiva subito successiva. Il compito di preparare gli spettatori al successivo telefilm è riuscito, ma è un peccato che questo episodio pilota è troppo poco cinematografico per poter davvero appassionare come vorrebbe chi si avvicina per la prima volta all'universo di BattleStar Galactica.
DR. CHOPPER
Regia: Lewis Schoenbrun
Attori: Robert Adamson, Ed Brigadier, Costas Mandylor, Chelsey Crisp
Anno: 2005
Provenienza: USA



Cinque ragazzi decidono di andare in un cottage in montagna per passare qualche giorno all'insegna del sesso e del divertimento, ma dovranno fare i conti con il folle chirurgo Fielding, detto Dr. Chopper vista la moto che cavalca. Dr. Chopper è infatti un arzillo 87enne che allunga la sua vita smembrando le sue vittime ed usandone gli organi per accrescere la sua vita, e proprio per questo manda le sue folli assistenti a uccidere i ragazzi...

Curioso. Questa è sicuramente la prima parola che viene in mente, a visionare quello che si presenta (e viene presentato) come un trash stile Troma e che invece si rivela inspiegabilmente serio in più riprese, anzi pure degno di poter vantare alcune scene che, se non sono di tensione, sicuramente ridere non fanno. I giudizi quasi unanimi di stroncatura rendono poi ancora più incredibile il come Dr. Chopper sia stato recepito un pò ovunque in giro, perchè a dispetto dei debiti che deve pagare a diversi classici (Non aprite quella porta in primis) il film di Schoenbrun è uno slasher abbastanza serio, e pure riuscito secondo certi punti di vista. Le discrete prove interpretative sono infatti la prima cosa che salta all'occhio in quello che dovrebbe essere uno z-movie: le esclamazioni di stupore, di tristezza (il poliziotto Terrell che vuole suicidarsi) e di disperazione sono indubbiamente ben interpretate da un nutrito staff di sconosciuti attori dalle buone doti recitative, e le scene splatter sono pure abbastanza mortificanti da non risultare affatto ridicole (come spesso avviene in produzioni di questo tipo). Sicuramente tensione vera e propria non la si prova mai guardando Dr. Chopper, eppure la professionalità della regia e degli attori riescono nell'impresa di rendere il film inspiegabilmente serio in più riprese, e qui non si riesce davvero a capire se si tratta di una cosa voluta o no (Schoenbrun voleva fare un film serio o trash?). Difatti, quasi a contrastare la serietà con cui Dr. Chopper è stato diretto, abbiamo ogni tanto dei dialoghi inspiegabilmente comici ("ti voglio bene figliolo, ma non devi ammazzare le mie troie!"), alcune morti orribilmente veloci e gratuite da potersi definire ridicole, ed il look del boogeyman stesso, che fa ridere solo a vedersi. Volendo correre sopra questi "difetti" il verdetto è palese: se siete interessati ad un trash evitate la visione. Se siete alla cerca di un discreto slasher "serio" con buone caratterizzazioni dei personaggi avete trovato quel che cercate.

Originariamente scritto lunedì 19 maggio 2008.

giovedì 26 giugno 2008

GETTER SAGA
Autore: Ken Ishikawa
Serializzazione: 1974 - 2002
Casa editrice: D/Visual
Formato: manga (12 volumi)



Analizzare in una sola recensione il ciclo di storie che compongono la Getter Saga è un'impresa difficilissima che per forza di cose porterà ad una sintesi forse troppo esagerata di quel che c'è da dire, ma qui stiamo parlando di quella che è considerata tra le più grandi saghe Super robot di sempre, e analizzare ogni singola storia sarebbe come spezzettare un quadro in tanti pezzi. Getter Saga è infatti il nome con cui sono state riunite e rinominate tutte le 4 serie manga dedicate a Getter, un Super robot trasformabile ideato da Go Nagai e poi sceneggiato e disegnato da Ken Ishikawa attraverso 29 anni di serializzazione. Getter Saga riunisce quindi i ben 4 manga di Getter serializzati tra gli anni '74 ed il 2002, con aggiunte e modifiche disegnate in tempi recenti dallo stesso Ishikawa per permettere di legarle tutte e 4 in continuity. Si parte con il manga Getter Robot, serializzato nei primi tre volumi: siamo agli inizi quindi non si può pretendere molto quanto a storia e atmosfere, difatti Getter Robot è una serie Super abbastanza ordinaria legata ai tipici clichè dell'epoca. Sulla Terra il professor Saotome scopre i raggi Getter provenienti dallo spazio, e con essi inizia a costruire, con le massime conoscenze scientifiche disponibili della Terra, un gigantesco robot da combattimento scomponibile in tre parti e capace con queste di accedere ad almeno 3 configurazioni diverse, ciascuna adatta ad un certo tipo di ambiente e terreno. Il possente Getter Robot sarà quindi l'unica arma a disposizione della razza umana per difendersi dall'attacco dei giganteschi mechasaurus del popolo Hachu, ossia il popolo di rettili scampato miracolosamente all'estinzione dei dinosauri per effetto dei raggi Getter. Sarà così che il dottor Saotome affiderà il Getter a Ryoma, Hayato e Musashi, tre simil-psicopatici (Hayato è un sadico studente rivoluzionario che comanda un gruppo studentesco eversivo!) che continueranno a combattere fino alla fine comtro Ghawl, sovrano dei rettili. In questi tre volumi l'unico motivo d'interesse starà nel sadismo e nell'autocompiacimento di scene gore-splatter, di cui Getter Robot è letteralmente infarcito, e sopratutto nel tratto simil-parodistico di Ishikawa, quasi identico a quello di nagaiano. Come livello qualitativo di storie, di approfondimento psicologico dei personaggi, di atmosfere etc. la saga di Getter è infatti ancora totalmente da sviluppare. La stessa cosa vale per la serie Getter Robot G presente nei due volumi successivi: adesso infatti la minaccia non viene più dai rettili bensì dall'impero dei 100 oni, ossia demoni anch'essi desiderosi di conquistare la Terra. Sempre Ryoma, Hayato e lo staff del dottor Saotome (più Benkei, nuovo pilota) impediranno loro di realizzare il piano, sconfiggendo in ogni puntata il mostro di turno col nuovo Getter G fino ad arrivare allo scontro finale, con l'aiuto della tecnologia della scomparsa civiltà di Atlantide. Stesse considerazioni della saga precedente: disegni semplicistici (ma interessanti per chi adora il tratto di Nagai), amore per la truculenza compiaciuta, umorismo bambinesco... una serie Super robot come tante altre. Si arriva quindi a Getter Robot GO, il primo vero capolavoro. E' passato un tempo indefinito dalle avventure di Getter G, e adesso ritroviamo il solo Hayato alla guida dell'intero staff scientifico del professor Saotome. Quest'ultimo, la sua famiglia, Ryoma e Benkei sono tutti misteriosamente scomparsi, e ora Hayato con nuove conoscenze tecnologiche ha creato il potentissimo Getter GO. Lo metterà nelle mani del giovane scavezzacollo Go, della spadaccina Sho e del meccanico Gai, e questi ultimi col nuovo robot parteciperanno quindi ad una vera e propria guerra mondiale, alleati con i Super robot sviluppati da tutte le altre nazioni del mondo contro l'esercito del folle super-professor Randow, che mira alla conquista dell'intero pianeta grazie alle sue conoscenze scientifiche. Questa saga di ben cinque volumi è assolutamente spettacolare, non solo per i numerosi colpi di scena e rivelazioni, ma anche per l'approfondimento psicologico di tutti i (davvero numerosi) personaggi, che iniziano finalmente a lasciare il segno: il macchiavellico Hayato, il divertente e fuori di testa Go, l'emotiva Sho, l'orgoglioso Schwartz.. Buona parte del cast si fa ricordare, e verrà per questo largamente utilizzato nelle varie serie oav tratte dalla Getter Saga (sopratutto Kei, qui nel manga abbastanza irrilevante come figura mentre importantissima, ad esempio, nell'oav The Last Day). La guerra a livello globale tra robottoni presente in Getter Robot GO è però solo un'antipasto però, visto che poi, quando tutto sembra finito, un nuovo improvviso colpo di scena: dietro le conoscenze scientifiche di Randow c'è Jatego, imperatrice dell'impero hachu che si credeva annientato fin dalla prima serie! L'impero dei rettili tornerà quindi alla ribalta uccidendo Randow e prendendo il suo posto, unendo le sue capacità scientifiche a quelle dell'ex scienziato per creare un'armata mechasaurus apparentemente invincibile, ed è così che Hayato deciderà di tirare fuori l'asso nella manica: lo Shin Getter, ossia il Getter robot definitivo che ha il potenziale per salvare o annientare l'intera umanità e che è legato alla scomparsa del cast delle serie classiche! E' così che, in un susseguirsi di colpi di scena e rivelazioni, iniziano a subentrare depressive atmosfere nichiliste e di morte, e Go, un ritrovato Ryoma e Hayato guidano lo Shin Getter nell'ultima battaglia per salvare l'umanità, per culminare in un finale imprevedibile e poetico dove viene finalmente alla luce il ruolo dei raggi Getter nella storia dell'umanità e dell'universo. Getter Robot GO è un manga fantastico, offre finalmente quel tratto mecha dettagliato e spettacolare che solo Ishikawa riusciva a disegnare, e sopratutto diventa serioso, abbandona le ingenuità bambinesche del passato e riesce ad essere epico per davvero, divenendo una vera e propria droga da leggere voracemente. Stesse identiche considerazioni valgono infine per Shin Getter, serializzato negli ultimi due volumi della Getter Saga. Ambientato prima dei fatti del GO (quindi un prequel, anche se disegnato dopo), Shin Getter narra dei catastrofici fatti che portarono alla scomparsa del vecchio cast e alla pazzia di Saotome (poi ripresa nell'oav The Last Day). Vediamo infatti un inquieto Ryoma guidare lo Shin Getter contro una misteriosa razza aliena proveniente dal futuro, venuta sulla Terra per distruggere il Getter in modo che non appaia più nella loro era. Fino alla fine si susseguono combattimenti su combattimenti che sembrano radicalizzare la regola "buoni vs cattivi" vista nel passato, salvo poi che tutti i ruoli si rovesciano nel talentuoso finale, impossibile da spoilerare vista la sua bellezza e potenza visiva. Shin Getter è per ora la degna conclusione di una grandissima saga Super robot spinta alle massime evoluzioni: da serie Super dozzinale e semplicistica disegnata con un tratto bambinesco s'è evoluta in una seriosa serie fantascientifica piena di spettacolari combattimenti di robottoni, tutto immerso in atmosfere seriose, epiche e nichiliste. Il tutto disegnato con un tratto mecha talmente spettacolare da far cadere la mascella. In attesa che si sblocchino i diritti per un'eventuale pubblicazione italiana del (purtroppo) incompiuto Getter Ark, nuova ed ultima incarnazione Getter di Ishikawa (pace all'anima sua), non si può che consigliare i 12 volumi della Getter Saga ad ogni amante del genere robotico che vuole esplorare quali potenzialità può raggiungere il genere Super robot, quello che fino a poco fa era considerato bambinesco. Nota: nella pubblicazione italiana a cura della d/visual s'è deciso, poco saggiamente, di non mantenere l'ordine di pubblicazione originale delle storie, e di pubblicare così subito dopo Getter G lo Shin Getter, invece del GO.