giovedì 7 agosto 2008

LADY IN THE WATER
Regia: M. Night Shyamalan
Attori: Paul Giamatti, Bryce Dallas Howard, Jeffrey Wright, Bob Balaban, Sarita Chroudhury
Anno: 2006
Provenienza: USA



Cleveland è un simpatico, anziano balbuziente che vive rinchiuso in se stesso in totale solitudine, per il dolore d'aver perso la famiglia. Si accorgerà presto che ogni notte qualcuno nuota nella sua piscina, e arriverà così a scoprire presto la verità: in essa vive e nuota la bellissima Story, una ninfa acquatica proveniente dal misterioso Mondo Azzurro. Presala in custodia, Cleveland cercherà di capire come aiutarla a tornare al suo mondo, e riunirà così un gran numero di suoi vicini che, secondo le leggenda, rivestono un determinato ruolo nel poter aiutare la ragazza. Dovranno però stare attenti allo Scrunt, una belva simile ad un lupo erboso proveniente dallo stesso mondo di Story, non intenzionato a lasciarla tornare...

Primo, controverso lavoro del geniale regista di Sixth Sense, Unbreakable, Signs e The Village. Controverso in quanto difeso a spada tratta ed odiato in egual misura sia da critica che da pubblico, Lady in the water secondo chi scrive si pone a metà tra le due categorie, vertente comunque dalla parte di fiasco. Trasposizione dell'omonima favola scritta dallo stesso regista, il sesto lavoro del famoso indiano rivela le sue debolezze, probabilmente, proprio nell'impianto narrativo. Parliamoci chiaro: raramente si sono viste favole così lente e soporifere, con così tanti problemi a decollare. Il soggetto non è davvero male, le musiche sono fantastiche e gli attori protagonisti se la cavano perfettamente (vi è pure lo stesso Shyamalan nei panni di Vick!), ma il ritmo complessivo è assurdamente lento. Tutto è giocato su numerosi dialoghi, più o meno utili, e pochissimo succede su schermo fino alla parte conclusiva dell'opera, dove finalmente si vede un pò di azione e magia. Il protagonista è simpatico, la Howard con il suo sguardo perennemente enigmatico ben invoglia a scoprire i misteri dietro la sua figura... ma il resto? Boh, pochissime sequenze visionarie d'effetto (anzi, si può dire che ce ne è solo una - Cleveland che nuota all'interno della casa di Story - e neanche particolarmente memorabile), poche musiche, personaggi secondari insulsi... A questo punto c'è pure da domandarsi da dove salti fuori l'assurdo budget di 75 milioni di dollari spesi per il film: ci volevano così tanti soldi per animare lo Scrunt? Il finale triste e commovente aiuta a tirare un pò su le sorti della pellicola, che comunque si dimostra palesemente inferiore ai precedenti lavori del regista, e che getta ombre nere sul prossimo E venne il giorno....
THE CONSTANT GARDENER: LA COSPIRAZIONE
Regia: Fernando Meirelles
Attori: Ralph Fiennes, Rachel Weisz, Pete Postlethwaite, Bill Nighy, Hubert Koundè
Anno: 2005
Provenienza: USA - Gran Bretagna



Tessa, giovane e bella attivista, si mette a indagare con l'amico di colore Arnold nel criminale mondo delle grandi multinazionali di medicinali, che testano medicine non ufficialmente sicure sulle popolazioni africane, approfittando della loro ignoranza. I due verranno uccisi da sicari delle multinazionali con la collaborazione dei servizi segreti, e sarà così Justin, timido giardiniere marito di Tessa e diplomatico inglese, a continuare le indagini rischiando la vita...

Che delusione! Da un bel romanzo di Le Carrè si poteva trarre un film molto meno spento di questo Constant Gardener, che pur avendo il potenziale di potersi ricordare come un grande thriller si rivela invece uno spento giallo, con grandissimo spreco di due ottimi attori come Fiennes e la Weisz. Se infatti la realizzazione generale è più che discreta, attestando la cura con cui è stato girato il prodotto, è il pathos che, banalmente, non c'è proprio! Il regista Meirelles infatti cerca di mescolare insieme sia il plot principale in sè e sia la figura malinconica di Justin, marito innamorato che ha appena perso per sempre la sua bella moglie. E, come avrete capito, nè l'approfondimento psicologico di lui e nè la vicenda principale funzionano davvero bene, banalmente perchè nessuna delle due è sufficientemente rappresentata. Non basta mostrare Fiennes piangere su una porta per farci affezionare a lui e provare compassione per il suo dolore, così come l'aspetto thrilling non può reggersi unicamente su dialoghi ridondanti e sull'uso di canzoni tribali atte a farci immaginare di essere con il protagonista nei paesi africani in cui il film è ambientato. Tutto è girato benino, con una patina perfettina e con mestiere, ma manca una qualsiasi pennellata d'autore, una qualsiasi trovata che riesca a rendere coinvolgente una vicenda che di azione ha pochissimo. Una OST avvolgente, un certo tono cupo dato alla vicenda... non si chiedeva tanto! E invece no, tutto va avanti in modo anonimo, senza coinvolgimento emotivo, come se Justin (bellissimo personaggio nel romanzo, noioso nel film) è il solo interessato a sbrogliare l'intricata matassa che avvolge fatti così criminosi e, purtroppo, esistenti anche oggi. Globalmente sufficiente quando a costruzione tecnica ma soporifero narrativamente, The Constant Gardener si rivela un brutto buco nell'acqua, un nuovo affronto a danni di uno dei più avvincenti scrittori contemporanei.
IL LABIRINTO DEL FAUNO
Regia: Guillermo Del Toro
Attori: Ariadna Gil, Maribel Verdù, Ivana Baquero, Sergi Lòpez, Doug Jones
Anno: 2006
Provenienza: Messico - Spagna - USA



Spagna, 1944. Carmen, in attesa di un figlio, e la sua figlioletta Ofelia si spostano a vivere in una guarnigione militare presidiata dai fascisti di Franco e perennemente insidiata ed attaccata da un gruppo di partigiani. Ofelia riuscirà a dimenticare l'orrore della guerra e la brutalità del suo patrigno Vidal stringendo amicizia con un misterioso fauno, e scoprirà di essere la principessa di un magico regno. Per poterlo raggiungere, la ragazzina dovrà superare tre prove che le dirà il fauno...

Guillermo Del Toro... è incredibile come questo giovane messicano sia riuscito a farsi un nome come regista in pochi anni, dividendo a metà la sua carriera tra film commerciali (Blade II, Hell Boy) e originali incursioni nei film storici rivisitati in chiave horror-fantasy. E dopo El Espinazo del Diablo (mai giunto, ahinoi, a toccare i lidi italiani) ecco un secondo film di ambientazione fantasy ambientato nella Spagna di Francisco Franco, una nuova favola dark dove atmosfere e intuizioni burtoniane si sposano con una notevole violenza visiva dovuta al contesto storico affrontato. E in effetti la prima impressione di stare a vedere un film fantasy per bambini è destinata presto a cadere, vittima della pesanti immagini di tortura e morte a cui si lasciano andare i fascisti-carnefici contro i partigiani comunisti: Il Labirinto non è assolutamente un film per bambini, visto che la violenza messa su schermo è pesante, tragica e terribilmente verosimile (terribile la tortura ai danni di un balbuziente). E, a ben vedere, si può dire che il film non è totalmente riuscito proprio perchè il regista affronta un pò sbrigativamente la parte "magica", prediligendo invece quella storica/violenta proprio per esprimere il suo disprezzo politico verso l'ideologia fascista (un disprezzo che trova le sue radici, si legge in giro, dalla sua nonna cattolicissima). Ciò non significa che il film non sia riuscito, anzi i grandi momenti di cinema sono riscontrabili sopratutto nelle sequenze visionarie (bellissima la seconda prova di Ofelia, ispirata al mito greco di Demetra e Persefone e che può contare sull'apparizione di un inquietante mostro con gli occhi sulle mani), ma è indubbio che i due approcci non sono ben amalgamati e le sequenze burtoniane appaiono discretamente brevi, in confronto alla storia portante di guerra tra i partigiani e il terrificante colonnello fascista Vidal. A proposito di quest'ultimo non si può non citare l'eccezionale interpretazione di Sergi Lòpez: Vidal è un uomo spietato, sadico e freddo che ben incarna l'ideale tipico del fascista di quegli anni, capace di torturare orribilmente le persone col sorriso sulle labbra, assolutamente convinto di quel che fa. Meno memorabile è invece l'interpretazione di Ofelia ad opera della Verù, abbastanza spenta e monoespressiva tanto da farsi domandare cos'abbia visto in lei Del Toro. Alla fine comunque il finale incredibilmente tragico e commovente riesce comunque a far rimanere Il Labirinto del fauno sufficientemente a memoria tale da considerarlo un originale e bel film, seppur un pò confuso tra i due versanti cinematografici su cui viaggia. Ottimi gli effetti speciali e le scenografie, che faranno vincere al film diversi oscar.
CLOVERFIELD
Regia: Matt Reeves
Attori: Lizzy Caplan, Jessica Lucas, T.J. Mille, Michael Stahl-David, Mike Vogel
Anno: 2008
Provenienza: USA



Blair With Project ha un grande pregio e un grande difetto: gli va riconosciuto il merito di aver fatto conoscere al grande pubblico un nuovo modo di filmare estremamente innovativo, ossia quello in prima persona (anche se solamente dal punto di vista commerciale: l'idea stessa è da ricercare nei molto meno conosciuti Cannibal Holocaust e Il cameraman e l'assassino). E, dall'altra parte, gli va anche riconosciuto lo stesso merito in senso negativo, ossia di aver generato una sequela di cloni che ormai sembrano aver iniziato una vera e propria moda in ambito cinematografico. Un episodio di X-Files, REC, gli August Underground, Diary of the Dead, pure il comico Borat.... e a questi si aggiunge il qui presente Cloverfield, uno dei casi cinematografici dell'anno dovuto ad una misteriosissima campagna pubblicitaria, tesa a indicare il film come un catastrophic/beast movie, rifiutandosi fino alla fine di lasciar trasparire qualsiasi immagine sul mostro in questione. E, arrivato ai cinema, Cloverfield sembra aver portato un numero spaventoso di critici e spettatori ad un abbaglio collettivo, visto che viene indicato come uno dei migliori horror/catastrofici degli ultimi anni, in virtù dell'idea di spacciare tutte le riprese di stampo volutamente amatoriale come testimonianza visiva di alcuni ragazzi che sono stati spettatori dell'attacco della gigantesca creatura a New York. L'idea di per sè non sarebbe neanche male, e per tutto il film la spontaneità dei dialoghi e delle interpretazioni (tutti attori sconosciuti, per mantenere un profilo attendibile e realistico) e sopratutto la trovata di non spiegare assolutamente nulla sulle origini del mostro e sulla sua sorte (lasciando nel dubbio fino alla fine) suggeriscono come Cloverfield sia una ventata di freschezza in ambito di film catastrofici. C'è però un ma, che rovina tutto il film: è mai possibile che il ragazzo che riprende lo fa ininterrottamente, anche nelle situazioni di pericolo estremo, anche quando soccorre delle persone?! Non ci sono alibi che tengano: questa trovata è demente, e toglie drammaticità alle varie scene serie (tralaltro realizzate in modo sublime) in favore del ridicolo involontario, svaccando tutte le buone idee e trasformando Cloverfield quasi in un inverosimile trash. Chi scrive è cosciente di andare contro un buon 80% degli appassionati, capaci di correre sopra all'inevitabile ridicolaggine della cosa in favore degli ottimi effetti speciali, delle buonissime interpretazioni (anche se non convincono certe reazioni dei personaggi) e della spettacolarità della distruzione di New York da parte del gigantesco mostro sbucato dal nulla, ma l'impressione generale è che questo prodotto è più da parco divertimenti che da cinema.

mercoledì 6 agosto 2008

SWEENEY TODD: IL DIABOLICO BARBIERE DI FLEET STREET
Regia: Tim Burton
Attori: Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Alan Rickman
Anno: 2007
Provenienza: USA - Gran Bretagna



Di ritorno a casa dopo 15 ingiusti anni di prigione, il barbiere Benjamin Barker viene a sapere che il giudice Turpin, l'uomo che lo ha condannato per poter così insidiare sua moglie in sua assenza, ha finito col causare il suicidio di lei. Oltretutto Turpin ha pure preso con sè la loro figlia Johanna, rinchiudendola in casa sua come un uccellino in gabbia. Pazzo dal dolore e dall'odio, Barker si rinomina Sweeney Todd e, con l'aiuto dell'aiutante Nellie Lovette, inizia a sfogare la sua rabbia sgozzando tutti i pazienti che gli capitano a tiro. I resti delle vittime verranno utilizzati per farne involtini di carne...

Leggendaria, stravagante figura a metà tra il simpatico e il sanguinario, Sweeney Todd nasce nel 1846 dalla penna di Thomas Peckett Prest, quale primissimo esempio di serial killer letterario. Il personaggio ispirerà quindi diversi scritti, due film (di cui uno del veterano Schlesinger) e sopratutto un celeberrimo musical di Stephen Sondheim. E' proprio questo che ci deve interessare, e non solo noi: sarà Tim Burton ad innamorarsene, decidendo così di trasporlo in un vero e proprio film affidato alla consueta interpretrazione di Depp e della Carter. Ed il risultato, essendo firmato Burton, ovviamente è fantastico. E' raro vedere infatti come esistano registi capaci, alla distanza di 30 anni, di continuare a sfornare film di ottima qualità senza mai ripetersi, quasi sempre con risultati stupendi. Burton è probabilmente un genio del cinema, perchè ogni suo film ha un qualcosa di magico che riesce a fartelo adorare anche a dispetto di qualche neo. E di nei Sweeney Todd ne ha solo uno: il finale. Una conclusione così affrettata, priva di particolari colpi di scena e girata in modo così svogliato raramente s'è vista in un film del grand'uomo, ed è un peccato. Questo perchè il resto ha del sublime: in un mix originale di cg e scene live una ottocentesca Londra viene ricostruita in modo barocco e misterioso, sprigionando un'aura di mistero grazie anche ad un particolare uso di filtri dalle reminiscenze fredde e grige, che donano un appeal alieno ed affascinante. Le consuete, ottime interpretazioni di Depp e della Carter fanno poi il resto, rese immortali dalle lunghe canzoni da loro contate (Depp si è esercitato da solo per mesi e mesi!), accattivanti e divertenti (le musiche però non sono di Danny Elfman e si sente: peccato). In ogni momento del film la poesia e la magia di Burton si sentono come di consueto, nelle idee sceniche come nel suo uscire perennemente dagli schemi cinematografici (chi l'avrebbe detto che ci sarebbe andato così pesantemente sul versante splatter?), ed è veramente un peccato che quello che avrebbe potuto essere una pietra miliare del cinema finisca ridimensionato dal crollo di idee presente nel finale, davvero indegno della caratura del regista in questione. Ma un brutto finale certo non rovina un film per l''80% assolutamente straordinario, affascinante e a metà tra lo scioccante ed il divertente, che riconferma il giudizio qualitativo sulla figura del grande regista americano.

martedì 5 agosto 2008

IL CAVALIERE OSCURO
Regia: Christopher Nolan
Attori: Christian Bale, Heath Ledger, Aaron Eckhart, Gary Oldman, Michael Caine, Tiziana Avarista
Anno: 2008
Provenienza: USA



Tempi bui per Gotham City: a terrorizzare la città vi è ora il Joker, un inquietante sadico vestito da pagliaccio con l'hobby di provocare il caos per puro divertimento. In una terribile spirale di violenza e terrore che inghiotte la città, anche Batman inizia a rendersi conto di essere irrilevante in quanto a giustiziere, visti i suoi metodi sempre più lontani dalla legalità estremizzati dall'odio profondo provati per il criminale. Inizia così a pensare a ritirarsi dalle scene, vedendo come suo vero erede l'avvocato Harvey Dent. Ma il destino è crudele e beffardo verso entrambi...

L'effetto di uscire dal cinema dopo aver visto Il Cavaliere Oscuro di Nolan è indefinibile, perchè ci si continua ad arrovellare sul fatto di aver visto o no, in prima persona, quello che verrà considerato un nuovo capolavoro del cinema. Parlare di capolavoro forse è ancora un pò troppo presto, ma quel che è certo è che l'ultimo lavoro di Nolan ha i numeri per rivendicarlo e comunque, ora come ora, oltre a miglior film di Batman, è sicuramente una pietra miliare nell'ambito di film supereroistici, una gemma splendente su cui ogni futuro film di eroi DC Comics o Marvel si ritroverà inevitabilmente a fare i conti. Questo perchè il film di Nolan è innanzitutto un riuscito film d'autore, a prescindere dal suo successo commerciale dovuto alla solito ignobile meccanismo con cui una massiccia e martellante campagna promozionale costruisce un'hype spaventosa attorno a film specifici decretandone il sicuro successo commerciale a prescindere dalla qualità effettiva. Certo, il successo del film di Nolan era scritto mesi prima che uscisse, "merito" anche della morte di Ledger (nei panni di una memorabile interpretazione del Joker) che ha rivestito il film di un'aurea "maledetta" (alla "Il corvo") dall'immensa pubblicità, eppure Il Cavaliere Oscuro è, sicuramente, un signor film e probabilmente la migliore trasposizione filmica mai operata su un comic. Facciamo una bella tabula rasa dei nostri preconcetti sul genere "supereroistico", perchè andare a vedere Il Cavaliere Oscuro non è una passeggiata. Non pensate di trovarvi di fronte ad un film alla Schumacher rivolto a un target giovane e pieno di azione e bat-gadgets: se avete già visto il precedente Begins potete intuire cosa aspettarvi, ma neanche del tutto visto che la cupezza che si respira qui è parecchio più pesante del film precedente. Il Cavaliere Oscuro è un film tenebroso, assolutamente non per bambini, dove la violenza imperante, l'inibizione di un happy ending e l'assurdo sadismo del Joker sono capaci di mettere a disagio lo spettatore. Non stiamo parlando di un film dove il cattivone prende in mano ostaggi e Batman li libera sconfiggendo il cattivo, ma parliamo di un thriller di tensione e violenza dove un sadico si diverte a uccidere persone e a sovvertire le regole ed i ruoli delle istituzioni, dove le love story finiscono incenerite nel sangue, dove Batman si lascia andare ad eccessi di violenza... Numerose sono le chiavi di lettura che il film fornisce: le implicazioni sociologiche e politiche nella figura di Batman (riconosce lui stesso che è uno sbaglio essere un giustiziere al di sopra della legge, e sa il pericolo di derive autoritarie quando troppe persone ti apprezzano chiudendo un occhio suoi tuoi metodi che esulano dalla democrazia: per questo non vede l'ora di abbandonare il suo ruolo quando appare un vero eroe integerrimo che opera nell'ambito della giustizia legale come Harvey Dent); la teoria del Caos di Edward Lorenz, ripresa dal Joker che trova felicità nell'inversione di ruoli di giustizia e ingiustizia per rifuggire alla spietatezza della monotonia della vita (lluminante la scena nel quale brucia i suoi milioni di dollari, oppure quando dice a Batman "non ti ucciderò mai, perchè altrimenti la mia vita non troverebbe mai divertimento"); le controversie morali di Morgan Freeman sull'utilizzare attrezzature da Grande Fratello per spiare la vita di tutti i cittadini di Gotham City (critica velata alle contromisure anti-terroristiche di Bush?); gli eccessi di giustizia di Batman, che lo rendono così un vero essere umano, psicologicamente instabile e vicino anche lui a derive da culto della personalità.... E' meraviglioso come Nolan abbia trasformato un eroe per bambini in un manifesto adulto e politico della società, mascherandolo abilmente dietro la facciata di film super-eroistico. E poi vi è la costruzione scenica del film, davvero devastante: regia superlativa, eccezionali interpretazioni, una OST potentissima e gasante, grandi dialoghi, una sceneggiatura vicino alla perfezione (deboluccia solo in qualche fatto poco spiegato e affrontato sinteticamente)... Il Cavaliere Oscuro è una produzione che qualunque fan dell'Uomo Pipistrello ha il dovere morale di vedere, un signor lavoro che fissa le basi su cui ogni prossimo film di argomento similare dovrà tenere conto. Must see per chiunque ami il cinema, e si attende impazienti di sapere se è davvero capace di venire riconosciuto come vera opera miliare del cinema.
HANSEL E GRETEL
Regia: Giovanni Simonelli
Attori: Elisabete Pimenta Boaretto, Lucia Prato, Gaetano Russo, Maurice Poli, Paul Muller, Zora Kerowa
Anno: 1988
Provenienza: Italia



C'è mai limite al peggio? La risposta è sicuramente no, fin quando esisteranno film del livello di Hansel e Gretel. Celebre per la sua bruttezza che lo ha reso un cult della cinematografia di serie z, il film di Simonelli si rivela uno degli horror più tristi che si siano mai visti, gradevole solo se visionabile in ottica trash. Se dal lato horror il film, nonostante il plot "cupo" (si parla di fantasmi di bambini uccisi per essere venduti al mercato nero) dimostra una lentezza assurda e effetti speciali di una bruttezza rara (il terrificante make up dei bambini è dato dai loro occhi che si illuminano di rosso come una lampadina!), in chiave di spazzatura non è così male. Simonelli infatti dimostra di ben conoscere l'abc del trash, grazie ad assurdità incredibili, genialate imprevedibili e una sceneggiatura fuori di testa. Se dal lato dei dialoghi siamo purtroppo in ambiti seri con nulla di troppo eclatante (tolto qualche raro dialogo del calibro di "mi ricordo quando da piccola succhiavi quel biberon pieno di latte!"), come script navighiamo in acque migliori. Come poter parlare male infatti male delle numerose (e dementi: c'è pure un uomo che affoga nel letame?!) morti che avvengono tutte con una ridicola velocità (ogni vittima soffre per qualcosa come due secondi!), oppure del fatto che è assolutamente inutile la presenza della protagonista, che fino alla fine tenta di salvare le future vittime dei bambini senza riuscirci? Sempre la protagonista, in una scena epocale, appena vede i due fantasmi non solo non sta a chiedersi se è un trucco o no, ma immediatamente deduce che sono ectoplasmi e scongiura loro di smetterla con gli omicidi (alla faccia della razionalità!)! E sempre epocale è una scena cult dove viene rinvenuto un nastro con la registrazione degli ultimi momenti di vita della seconda vittima. Nulla di strano, se non fosse che nella registrazione vi è pure registrata la colonna sonora del film! Sublime! Tolte queste genialate purtroppo non rimane nulla di altrettanto buono: il film si segnala lungo, noiosissimo, di una incompetenza registica notevole (che bisogno c'è di inquadrare anche i cancelli e le porte che si chiudono?!) e con notevole potenziale non espresso (ad esempio all'inizio la carismatica figura di Fra Basilio, mai più ripresa). Assolutamente evitabile.
I PREDATORI DELL'ANNO OMEGA
Regia: David Worth
Attori: Robert Ginty, Persis Khambatta, Donald Pleasance, Fred Qilliamson
Anno: 1983
Provenienza: Italia



Spettacolare esordio di Worth in ambito trash, I Predatori dell'anno omega è un signor film che ha il grande merito di far conoscere per davvero il talentuoso regista in ambito internazionale, in attesa del memorabile Shark Attack 3. Nel solito futuro prossimo un dittatore sanguinario in venza di scherzi chiamato Prossor (interpretato da un ridicolo Donald Pleasance) ha creato una nuova società utopica dove si vive felici e si subisce quotidinamente un lavaggio del cervello, da parte di macchine che sembrano uscite fuori dal 1984 di Orwell. La cosa grottesca è che questa società perfetta non sembra vivvere in uno stato bensì in un grattacielo, boh. Fatto sta che per mantenere il potere, il calvo despota crea l'esercito Omega, formato da spietati soldati abbigliati in modo ridicolo, un mix tra bruchi e nazisti. Ovviamente a molti questo non va bene, e si crea così un esercito di ribelli che non sa fare nulla. Fino all'arrivo del consueto Chuck Norris di turno, che ricattato da una bella (ehm) ragazza finirà con il prendere a cuore le sorti della democrazia, fino a riunire sotto la sua carismatica guida un gruppo di una ventina di teppisti, facendo di loro una forza rivoluzionaria capace di distruggere da sola l'intero esercito Omega. Se l'incipt del film è di una banalità disarmante, è l'anima trash del prodotto che rende I Predatori una visione indispensabile per qualunque amante di film orribili. Si parte con il ridicolo protagonista Robert Ginty, che con un'indifferenza da far invidia ad un ragionere si mette a sparare, lottare, fare acrobazie in moto e parlare con una noia ed una poca voglia di vivere tali da rendere culto ogni scena nel quale lo si vede in azione. Poi vi è il terribile esercito Omega, formato da migliaia di dementi soldati che non riescono a colpire un nemico neanche a pagarli, e che sono carne da macello al punto tale che in ogni sparatoria o scena d'azione sono sempre gli unici a cadere in massa, con scene cult di incredibili genocidi. E poi ancora.... il perfido Prossor che indica come opera d'arte e di progresso un gruppo di 5 travestiti in posa da statue; la "bella" del film (Persis Khambatta) supera con curiosa nonchalance ragni, scorpioni e ratti e poi appena vede dei poveri umani contaminati da radiazioni (che si muovono come fossero zombi, boh) dice "resisto a tutto fuorchè ai mutanti!", allora Ginty usa un lanciafiamme e lo lancia addosso a loro, e invece di riprenderselo lo lascia lì, e tanto altro ancora... questo film è dementissimo, ha dialoghi e situazioni ridicole, eppure sembra addirittura prendersi sempre più sul serio con colpi di scena finali, un pistolotto morale sulla democrazia, lunghissime scene action di sparatorie in corsa su auto.... Tutto ciò rende il prodotto ancora più culto, e l'ultima cosa che deve convincervi a reperirlo è l'eccezionale scena nel quale il leader dei ribelli, padre della Khambatta, viene salvato a costo del rapimento di sua figlia. E, chissà perchè, continua a ridere e scherzare con Ginty come se nulla fosse per tutto il resto del film! Eccezionale! I Predatori dell'anno Omega è un notevolissimo trash ed è un dovere morale imperativo procurarselo e visionarlo. Cult.

venerdì 1 agosto 2008

DRACULA CERCA SANGUE DI VERGINE... E MORI' DI SETE!!!
Regia: Antonio Margheriti
Attori:
Udo Kier, Arno Jverging, Joe Dalessandro, Stefania Casini,Silvia Dioniso, Vittorio De Sica
Anno: 1975
Provenienza: USA



Per continuare a sopravvivere in un'era dove non ci sono più vergini a cui succhiare il sangue, il conte Dracula ed il suo servitore Anton si recano in Italia, paese notoriamente religioso, per cercarne una da prendere in moglie. Dracula finirà così nella tenuta dei Di Fiori, abitata dalle loro 4 belle figlie. Il conte cercherà di pensare a quale di loro prendere in moglie, ma non sa che nessuna di loro è pura e casta e tutte si lasciano abbandonare al corpo di Mario, giovane contadino al loro servizio che non vede di buon occhio il conte...

Curiosissima rivistazione wharoliana (suoi sono soggetti e sceneggiatura) comico-erotica di Dracula immersa in atmosfere malinconico-decadenti, Dracula cerca sangue di vergine è un curioso ed originale esperimento filmico, seppur non riuscito. In un film a metà tra drammatico, comico ed erotico Wharol trova anche modo di inserire politica (le divagazioni comuniste di Mario, o i suoi battibecchi col conte su che genere di libri legge), creando un mix di generi senza un'identità precisa, seppur dalle buone idee. In chiave comica, il film si caratterizza per alcune buonissime trovate (ad esempio il conte che, rantolando dal dolore per aver succhiato sangue ad una ragazza non casta, impreca "il mio organismo non sopporta più queste umiliazioni! Il sangue impuro di quelle puttane!"), anche se rimangono davvero pochine, per giustificare un film nato in prevalenza come film per far ridere. In ambito drammatico troviamo invece il bel tema musicale di Claudio Gizzi, bravo a sottolineare l'aura di malinconia e tragicità che permea il conte quando questi ha spasmi d'agonia per il non riuscire a soddisfare la sua sete: Dracula vomita sangue, si contorce nel letto... può sembrare ridicolo, ma il tutto non ha finalità comiche, ma anzi arriva pure a portare lo spettatore a provare pietà per la miserevole creatura. In ambito erotico abbiamo infine le numerose scene di sesso tra Mario e le ragazze della casa, in ambito soft sia chiaro, ma abbastanza compiaciute nel mostrare nudità. I vari amplessi sono poi accompagnati da disquisizioni su cos'è la felicità, sul perchè il comunismo prima o poi trionferà sulla debole borghesia etc, probabilmente a sottolineare i significati più sottili di cui Wharol voleva infarcire la pellicola. E l'impressione generale infatti è che il celebre re della pop-art abbia tentato di inserire idee di satira politica in un horror drammatico, cercando pure di dargli una cornice comica per rendere il tutto ancora più originale: lode per l'intuizione, ma come spesso succede, di fronte ad idee troppo avveniristiche e originali spesso non si trova uno script degno. E difatti il soggetto generale, le musiche e le buone interpretazioni generali (Vittorio De Sica, Silvia Dioniso, Stefania Casini e sopratutto Udo Kier nei panni di Dracula) sono gli unici aspetti riscontrabili in questa pellicola: i dialoghi esili e sopratutto l'insufficienza generale delle singole contaminazioni di genere (troppo poco comico, troppo poco serio, troppo poco erotico) rendono alla memoria Dracula cercava sangue di vergine come un interessante esperimento con buone potenzialità ma dal risultato finale poco riuscito. Notevoli comunque gli effetti speciali di Carlo Rambaldi (che sconfinano nello splatter puro nel finale), la regia del navigato Margheriti e sopratutto il cameo di Roman Polanski nei panni di un contadino.

giovedì 31 luglio 2008

WILDERNESS
Regia: Michael J. Bassett
Attori: Brian Bache, Richie Campell, Sean Pertwee, Lenora Crichlow, Stephen Don
Anno: 2006
Provenienza: Gran Bretagna



Un gruppo di giovani delinquenti, internati in un carcere minorile, verranno mandati per una settimana in una desolata isoletta carceraria, come punizione per aver provocato, con atti di bullismo, il suicidio di un loro giovanissimo compagno di cella. L'isola non è però disabitata, visto che li attende il padre del ragazzo morto, desideroso di vendicarlo... Sorprendente Michael J. Bassett, che dopo l'interessante Deathwatch riconferma il suo talento con questo sorprendente Wilderness. Siamo nel campo del classico slasher giovanilistico, eppure le ambizioni ed i risultati sono molto più elevati della media. Basterebbero solo le vagonate di sangue e il gusto per scene gore a far risaltare il film rispetto ai suoi numerosi e glabri concorrenti statiunitensi, ma Bassett non si ferma qui perchè dispone di diverse frecce al suo arco. Da ricercare in primis nell'idea che i protagonisti sono un gruppo di triviali, disgustosi e sudici delinquenti che non hanno pietà di nessuno, e la cui sorte certo non porterà lo spettatore a tifare per loro; e sicuramente come secondo aspetto vi è la loro varia caratterizzazione. Il naziskin del gruppo è di una malvagità e di una ferocia notevoli, che mettono i brividi e che portano a reale odio verso la sua figura. Allucinante e morboso è poi il suo rapporto con Lewis, colosso di quasi due metri dall'animo fragilissimo che trova unico riparo dalla sua vuotezza interiore nel carisma dell'altro. E poi c'è Callum, giovane simpatico che all'accorrenza non rinuncia a stuprare una ragazza che lo rifiuta; l'eroe Jed, corraggioso e dotato di sangue freddo che comunque è in galera per omicidio... l'intero cast si ricorda per buonissime interpretazioni che danno linfa ai personaggi rappresentati, e che aiutano, se non ad affezionarsi, perlomeno a "smarrirsi" durante la visione, cercando inutilmente un punto di riferimento tra i delinquenti del cast. Buonissima poi la regia movimentata di Bassett, mai schizofrenica o confusionaria (come succede a tanti colleghi in film dello stesso genere) ma semplice e abbastanza ferma, pur claustrofobica (notevoli le riprese aeree dell'isola, a simboleggiare il terrore dei giovani a correre a vuoto in una gigantesca isola senza avere la minima idea di dove stanno andando). Alto, altissimo poi il livello gore: corpi fatti a pezzi, gole squarciate, teste mozzate... da tempo non si vedevano in un film mainstream simili fiumi di sangue e di carne fatta a pezzi. Certo, il film paga qualche debito a Predator (c'è pure una citazione - si spera! - del film di McTiernan quando vediamo in lontananza il cacciatore di uomini tenenere in mano la testa mozzata del suo cane urlando di dolore) e alcuni dialoghi non sono del tutto attendibili, ma è poca roba se confrontata con la tensione che si respira, con l'intrigante caratterizzazione generale del cast e sopratutto con l'alto livello orrorifico di effetti speciali, più o meno gore. Wilderness oltre a riconfermare il talento di Bassett, che si spera continui su questi binari, riconferma anche il valore della neonata corrente horror del Regno Unito, che grazie ad una nuova generazione di cineasti horror (a cui fa sicuramente capo il talentuoso Neil Marshall) sta uscendosene con un alto numero di pellicole di valore. Speriamo si continui così.

martedì 8 luglio 2008

MOBILE SUIT GUNDAM SEED DESTINY ASTRAY
Autori: Tomohiro Chiba (storia) & Koichi Tokita (disegni)
Serializzazione: 2004 - 2006
Casa editrice: (scans)
Formato: manga (4 volumi)



Cosmic Era, anno 71. La guerra tra naturals e coordinators è finita, ma mancano ancora diversi mesi al trattato di pace ufficiale. Jess Rabble è un giovane fotoreporter che, in uno dei suoi viaggi, ha modo di conoscere Lowe Gear e la sua Junk Tech. Lowe e Kisato stanno per partire per un lungo viaggio su Marte usando come piattaforma di lancio il Genesis Alpha System (che si sono procurati alla fine del manga Astray R), ma vista la neonata amicizia che li lega, Lowe dona a Jess due utili oggetti: 8 (il mini-pc portatile dotato di AI) e sopratutto il potente Astray Out Frame, rinvenuto sul Genesis. Con 8, l'Astray ed il fido Kaite (ex pilota militare di mobile suits ed ora sua guardia del corpo), Jess continuerà quindi ad andare in giro per il mondo per immortalare nella sua macchina fotografica tutti gli avvenimenti più importanti che si succedono nella Cosmic Era, spesso abbandonando il suo ruolo di reporter per partecipare attivamente a battaglie che faranno la storia...

Una doccia fredda, ecco il modo perfetto per sintetizzare il terzo manga disegnato da Tokita per la serie Astray. Siamo di fronte ad un manga che per quasi tutta la sua durata è un piccolo capolavoro e sicuramente rappresenta il picco massimo mai raggiunto dal fantastico Tokita: la narrazione è sempre spigliata senza mai scadere in tempi morti, le battaglie sono visivamente fantastiche, i personaggi numerosi e tutti ottimamente caratterizzati e sopratutto il mecha design è superbo. Eppure, tutto viene distrutto e reso inutile dal finale monco. Non un finale aperto, ma proprio volutamente troncato in modo che il lettore compri anche il romanzo omonimo per sapere come va a finire la storia: una trovata commerciale di bassissima lega, che rende praticamente nulla per noi occidentali la voglia di leggere questo fumetto visto che del romanzo in lingua comprensibile non se ne può ancora parlare (e sembra che questa situazione rimarrà a lungo così). Davvero, se la premiata ditta Chiba e Tokita si fossero degnati di concludere la storia sul fumetto avremmo avuto un'opera di assoluto valore visto il fantastico tratto, l'avvincente script messo in piedi e sopratutto il modo eccezionale con cui il fumetto si lega alla serie animata di riferimento non in modo marginale come in passato ma in modo attivissimo ed ricercato (tanto da divenire tutt'uno con essa), ma l'assenza voluta di un finale per bieche ragioni commerciali rovina tutto in modo brutale. In ogni caso se volete lustrarvi gli occhi con un numero spropositato di bellissimi mech, volete vedere quasi tutto il contenuto della linea SEED-MSV (quella linea di mech e personaggi ufficiali della Cosmic Era che però non hanno ancora trovato spazio in animazione), volete scoprire ancora numerosi retroscena mai toccati dalla serie televisiva (tipo la mai accennata lotta d'indipendenza combattuta dal Sud America contro l'oppressione della Federazione terrestre statiunitense) e sopratutto volete rivedere in azione tantissimi personaggi provenienti dalle precedenti serie Astray e dalla serie animata di SEED Destiny (Shinn Asuka, Gilbert Durandal, Djibril, Canard Pars, Gai Murakumo, Jean Carrey, Morgan Chevalier, Rondo Mina Sahaku e addirittura Prayer Reverie ed Ash Grey) potete tranquillamente prendere in considerazione la lettura. Traduzione per ora ancora inedita ufficialmente in occidente, recensione quindi basata sul lavoro di traduzione amatoriale dei Zeonic Corps.

Originariamente scritto lunedì 1 ottobre 2007.
MOBILE SUIT GUNDAM SEED X ASTRAY
Autori: Tomohiro Chiba (storia) & Koichi Tokita (disegni)
Serializzazione: 2003 - 2004
Casa editrice: Tokyopop
Formato: manga (2 volumi)



Cosmic Era, anno 71. Siamo vicini alla conclusione della guerra che vede contrapposti naturals e coordinators, ma poco prima che l'Alleanza venga in possesso dell'N-Jammer Canceller ce ne è già un altro che fa loro gola: quello incorporato nel Dreadnought Gundam, un potente mobile suit sviluppato da Zaft sotto la supervisione del reverendo Malchio per essere utilizzato come ricerca di fonti energetiche alternative. Vedendo che il dispositivo è in procinto di essere rubato dalla divisione euroasiatica dell'Alleanza (quella che ha quartier generale nella fortezza Artemis), il gruppo mercenario dei Serpent Tail al servizio di Siegel Clyne lo ruba e lo nasconde per sicurezza. A cercare di recuperare quella che potrebbe essere una chiave per la svolta della guerra saranno in due: da una parte il giovanissimo Prayer Reverie con l'aiuto della Junk Tech di Lowe, e dall'altra, a bordo dell'Hyperion Gundam, lo scontroso Canard Pars. Canard è una delle tante cavie utilizzate nella colonia di Mendel per giungere a Kira Yamato, il coordinator definitivo: solo uccidendo quest'ultimo l'irrequieto soldato potrà trovare un senso alla propria esistenza...

Ultima serie Astray ambientata negli anni di Gundam SEED (la prossima riguarderà invece SEED Destiny), X Astray si può dire sicuramente, nei 2 volumi che la compongono, un'opera davvero riuscita. Non solo per il consueto tratto cinematografico di Tokita ancor più dettagliato e spettacolare, e neanche per le atmosfere molto più seriose e cupe del predecente Astray: il pregio più grande di X Astray sta nel dare voce ad alcuni aspetti mai minimamente accennati nella serie tv. Apprenderemo così che terminato il conflitto naturals-coordinators già si prospettava un'analogo conflitto interno all'Alleanza tra la Federazione atlantica e quella euroasiatica, così come scopriremo che ci sono stati diversi altri cloni di Mwu e Rau Le Creuset e che già all'epoca un giovane Durandal indagava su Kira Yamato. Tanti retroscena che faranno la felicità dei fan del mondo creato (sic!) da Mitsuo Fukuda, e che renderanno l'opera ancor più intrigante e spettacolare. E così, tra mecha design sempre più aggressivi ed ispirati, personaggi ottimamente caratterizzati (al contrario del passato), notevoli collegamenti con la serie tv, tanti spettacolari scontri tra mobile suit gestiti con una dinamica regia delle tavole ed infine un drammatico finale d'effetto, i fan della Cosmic Era troveranno in X Astray un acquisto assolutamente obbligato, che probabilmente rappresenta la miglior opera inedita mai disegnata da Tokita sul mondo di Gundam. Inutile dire che i novizi non capiranno minimamente la storia di cui si parla e perderanno i collegamenti con la serie tv, quindi evitino pure. Peccato però per la solita costosa e mediocre edizione americana della Tokyopop, rovinata anche questa volta da diverse traduzioni discutibili (la parola "hai" viene lasciata in originale invece di essere tradotta "yes"! Ma come si fa?!) e da passaggi tradotti in modo grossolano.

Originariamente scritto domenica 1 luglio 2007.

lunedì 7 luglio 2008

MOBILE SUIT GUNDAM SEED ASTRAY R
Autori: Tomohiro Chiba (storia) & Yasunari Toda (disegni)
Anno: 2002
Casa editrice: Tokyopop
Formato: manga (4 volumi)



Se Gundam SEED Astray del duo Chiba-Tokita era una side-story della serie televisiva di Gundam SEED, questo Astray R è una side-story della side-story. Proprio così: in questa breve serie di 4 volumi vengono narrati i retroscena del manga di Tokita, e troveremo quindi come protagonisti assoluti Lowe Gear e la sua Junk Tech. Incontreremo ancora Gai e gli altri mercenari della Serpent Tail (protagonisti invece del romanzo Astray B, mai tradotto fuori dal Giappone purtroppo), ma stavolta tutto verrà narrato dal punto di vista di Lowe. Alle matite questa volta quel Toda che già aveva fatto parlare di se nel manga s-CRY-ed e che anche questa volta ci grazia di un tratto estremamente dinamico tendente molto spesso al grottesco, con una regia delle tavole totalmente fuori dalle righe da rendere i suoi disegni spesso e volentieri confusionari ed affascinanti, nonchè strabordanti di dettagli. E' un disegnatore atipico, per carità bravissimo ma davvero durissimo da digerire: pensate a Le bizzarre avventure di Jojo e avrete probabilmente un'idea di ciò di cui sto parlando. Se gli affascinanti disegni di Toda possono attirare, la storia è invece ancor più mediocre di quella precedente di Tokita: non aggiunge assolutamente nulla, se non un nuovo terrificante Gundam (nello specifico, il Regenerate pilotato dallo psicopatico Ash Gray) e la spiegazione di come abbiano fatto nell'anime Andrew Bartfield (la "tigre del deserto") ed il suo sottoposto Martin DaCosta ad andarsene dal deserto per poi unirsi alla fazione moderata di Plant guidata da Lacus (che qui vedremo anche in un cameo) e da suo padre. A meno che non siate fan irriducibili di Gundam SEED non consiglio di acquistare questo manga, la cui grande noia di fondo e la confusione totale nel finale fanno perdere totalmente il senso di quel che sta succedendo (e non si riesce neanche a capire alla fine se gli avvenimenti raccontati sono ambientati prima o dopo dell'Astray di Tokita!). Oltretutto poi Astray R soffre di una certa lentezza di fondo che lo rende ulteriormente atipico, quindi siete avvertiti. Se lo volete leggere ad ogni costo sappiate che valgono le stesse considerazioni dell'Astray di Tokita: solo edizione americana Tokyopop con traduzioni non ottimali.

Originariamente scritto domenica 1 luglio 2007.
MOBILE SUIT GUNDAM SEED ASTRAY
Autori: Tomohiro Chiba (storia) & Koichi Tokita (disegni)
Serializzazione: 2002 - 2003
Casa editrice: Tokyopop
Formato: manga (3 volumi)



Cosmic Era, anno 71. Nella distrutta colonia di Heliopolis due Gundam sono sopravissuti al raid perpetrato da Rau Le Creuset: il Red ed il Blue Frame. Sviluppati in segreto da Orb per se stessa (non come gli altri cinque che dovevano andare all'Alleanza terrestre), entrambi i mobile suit appartengono alla linea di produzione Astray. Il Red finirà nelle mani di Lowe Gear, giovane leader scavezzacollo di un gruppo di rigattieri spaziali chiamati Junk Tech; il Blue invece diverrà l'unità di Gai Murakumo, leader del potente gruppo mercenario dei Serpent Tail. Le strade dei due giovani si intrecceranno diverse volte sia come amici sia come avversari, fino a quando i due faranno fronte comune contro lo spietato Rondo Ghina Sahaku, che con il Gold Frame (terzo Astray sviluppato su Heliopolis e misteriosamente scomparso) e con l'aiuto della sorella gemella Rondo Mina Sahaku mira a prendere il potere a Orb rendendolo un regno guerrafondaio...

Nel 2002 il grande successo della serie animata di Gundam SEED convince il veterano Tokita a disegnare un nuovo manga sul mobile suit bianco: lo fa però questa volta sotto i testi di Tomohiro Chiba, già sceneggiatore di altri manga gundamici, e soprattuto non si limita alla solita trasposizione copia-carbone, ma a qualcosa di quasi totalmente nuovo. Con la prima delle innumerevoli serie Astray, infatti, Tokita realizza una side-story sviluppata contemporaneamente agli eventi della serie tv, utilizzando i personaggi della linea MSV (personaggi ufficiali della Cosmic Era non apparsi però ufficialmente in animazione) e inventando vicende che sapientemente si intrecciano e si collegano con la serie animata creando un unico grande mosaico. Nel caso di questo primo Astray, Tokita ci porta a vivere le avventure della Junk Tech di Lowe Gear, che qui assurge quasi a protagonista principale: attraverso diversi episodi conclusivi dalla qualità altalenante, scopriremo quindi diversi retroscena curiosi di Gundam SEED legati alla figura di questo giovane e scatenato pilota. Scopriremo che ha avuto un brevissimo intermezzo sentimentale con Juri (l'occhialuta pilotessa degli Astray di Orb, sempre in coppia con Asagi e Mayura); scopriremo che dopo lo scontro tra l'Aegis e lo Strike Gundam è stato lui a portare lo svenuto Kira Yamato dal reverendo Malchio, e sopratutto sapremo che anche lui ha collaborato alle riparazioni dell'Archangel (quando la nave dell'Alleanza ha dovuto atterrare nel regno di Orb), e che ha pure rivolto parola ad Athrun, Dearka, Nicol e Yzak credendoli meccanici di Orb! Nessun legame fondamentale con la serie tv, sia chiaro, ma rimangono graditissime aggiunte che faranno la felicità dei fans della Cosmic Era. L'ottimo, cinematografico ed accattivante tratto di Tokita ben richiama il chara design ufficiale di Hisashi Hirai, così come il sofisticato e cool mecha design dei vari Gundam (inventati qui da Junichi Akutsu) richiama quello di Kunio Okawara, eppure il risultato non si può dire del tutto riuscito. Al di là dell'ottima confezione del fumetto, infatti, la storia non si può dire del tutto riuscita e presenta diverse storie inutili, caratterizzazioni dei personaggi scadenti e sopratutto un certo gusto per l'umorismo a volte fuori luogo. Belli i disegni e bello l'episodio speciale conclusivo dedicato alla figura di Miguel Aiman (tanto per cambiare, scopriremo che poco prima di morire su Heliopolis aveva già avuto occasione di scontrarsi poco tempo prima con Gai Murakumo), ma questo non basta a salvare un fumetto sì avvincente, ma dal soggetto ordinario e priva di grosse sorprese che si trascina blandamente fino al finale. Unica edizione reperibile per il pubblico occidentale quella americana della Tokyopop, che oltre ad essere costosa soffre di alcune discutibili traduzioni e di una mediocre rilegatura: altri fattori che porteranno Gundam SEED Astray ad essere consigliato unicamente agli appassionati della Cosmic Era.
Curiosità: il successo di questo manga porterà alla creazione di un'infinità di altre opere "Astray". SEED Astray si legherà con il romanzo omonimo (che pur sempre scritto da Chiba presenta avventure totalmente diverse) e sopratutto genererà altre due side-stories ad esso corellate: una dedicata totalmente alle avventure di Lowe (il cosidetto manga Astray R) ed una a quelle di Gai (il romanzo Astray B). Astray verrà quindi seguito da X Astray, dal Destiny Astray (anch'esso in doppie versioni manga/romanzo che si legano insieme), dal manga C.E. 73 Δ Astray ed infine dal recentissimo manga Frame Astrays.

Originariamente scritto domenica 1 luglio 2007.
MAZINGER ANGELS
Autore: Akihiko Niina
Serializzazione: 2005 - 2007
Casa editrice: D/Visual
Formato: manga (4 volumi)



Go Nagai è uno dei più grandi autori manga giapponesi di sempre: ha creato numerosi generi fumettistici (l'horror, l'ecchi scolastico, il robotico...), ha fatto entrare nell'immaginario collettivo storie personaggi memorabili (la saga dei Mazingers, Devilman, Cutie Honey, Mao Dante...), ha scioccato associazioni di genitori con graffianti satire di usi e costumi della società giapponese (Scuola senza pudore, Kekko Kamen...) e sopratutto ha creato i stilemi che costituiranno poi la base di infiniti manga di successo. Era ovvio che un autore così leggendario godesse di ogni genere di omaggio o citazione da parte di altri mangaka, ed è così che nel 2007 Federico Colpi e lo staff della D/Visual portano in occidente quella che è tra le più divertenti e frizzanti serie-omaggio a Nagai, in una bella edizione degna dei loro standard abituali (sovracoperta, ottima rilegatura, ottima qualità di stampa, traduzioni precise): Mazinger Angels. Prendete ogni genere di personaggio e robot da numerosi manga disegnati da Nagai (Mazinger Z, Grande Mazinger, Grendizer, i crossover robotici Toei, Kekko Kamen, Devilman cartaceo e televisivo, Cutie Honey, Dororon Enma-kun, Ironmuscle, God Mazinger) e inseriteli in numerosissimi rimandi, citazioni o ruoli attivi nelle varie storie delle Mazinger Angels, gruppo "Charlie's Angels" type formato da Sayaka, Maria, Jun e Hikaru. In ogni avventura le 4 avvenenti ragazze (provenienti dalle saghe di Mazinga) dovranno affrontare coi loro robot (Afrotide A, Dianan A, Venus A, Minerva X) il cattivo di turno che tenterà di distruggerle, e guarda caso in ogni episodio le 4 rischieranno di trovarsi i vestiti a brandelli! Proprio così: tutti e 4 i volumi che compongono questa miniserie (che darà pure luogo ad un sequel: Mazinger Angels Z) sono un inno totale al fanservice, al tripudio di tette, scene di nudo, e umorismo demenziale alla Go Nagai. Mazinger Angels è un fumetto leggerissimo da leggere a cervello spento, ma nelle sue intenzioni e nella sua realizzazione è sicuramente un must have: i disegni di Niina sono meravigliosi e sexy, ricordano moltissimo il chara di Arakai e Ochi, e valorizzano al massimo il sex appeal delle ragazze grazie ad una totale sublimazione delle loro generosissime curve e alla bravura nel disegnare i volti in modo intrigante. Il disegno generale è pulitissimo, particolareggiato, accattivante; l'umorismo demente è tipico della follia di Nagai, e sopratutto le citazioni sono geniali: in ogni contesto i rimandi alle opere del grande mangaka non sono messe lì a caso ma sono intelligenti, divertenti, a volte ovvie e a volte addirittura per veri intenditori ("Go Nagai, perdonami!" detto da Unghia del piede di Satana). Mazinger Angels è un fumetto leggero che non avrebbe senso di esistere senza citazioni e senza il fanservice esasperato, ma chi ama il genere o l'autore (Nagai, non Niina!) lo adorerà, a prescindere da un finale un pò inconcludente (che ne è dell'annunciato scontro tra Akira Fudo e Satanikus?).
I PREDATORI DI ATLANTIDE
Regia: Ruggero Deodato
Attori: Christopher Connelly, George Hilton, Ivan Rassimov, Gioia Scola, Tony King
Anno: 1983
Provenienza: Italia



Le radiazioni di un sottomarino nucleare sovietico abbandonato fanno riaffiorare il mitico continente sperduto di Atlantide, e questo risveglia anche la sua popolazione, formata da un numeroso gruppo di sanguinari bikers. Sarà compito del gruppo capitanato da Mike e Washington sconfiggere gli atlantidei e salvare la dottoressa Earls, rapita e portata ad Atlantide...

Incredibile film avventuroso low budget, I Predatori di Atlantide è un film incomprensibilmente a metà tra il serio ed il trash, e proprio in questo suo ibrido non riesce a convincere come dovrebbe. Se per infatti almeno un buon 3/4 della durata rappresenta sicuramente un gradevolissimo film d'avventura pieno di sparatorie sorrette da un'ottima colonna sonora e da qualche rara scena trash (alcuni effetti speciali nefasti tipo un bambolotto in plastica colpito in bocca da una freccia), è nelle scene di spiegazioni che arriviamo davvero all'esilerante involontario: Atlantide è caduta per una guerra civile tra bikers?! I meccanismi che l'hanno fatta riaffiorare in superficie sono dovuti a delle radiazioni?! Il continente perduto sarebbe una microscopica isoletta?! A chi scrive non è dato sapere quali strane sostanze ha assunto il regista in questione per uscirsene con queste colossali idiozie, ma è davvero un peccato che da questo momento in poi tutto ciò che è stato decentemente costruito finisce polverizzato da un susseguirsi di trashate allucinanti. E così, tra dialoghi dementi ("non riusciamo più a muoverci!!" urla Washington nell'orecchio di Mike, come se questi non se ne fosse accorto), incongruenze (l'elicottero viene attirato dal campo magnetico dell'isola: peccato che poi riesce ad andarsene senza problemi), inverosimilità (il gruppo capitanato da Mike e Washingotn, che conta circa 5 persone, uccide praticamente tutta la popolazione atlantidea a furia di sparatorie), omaggi apocrifi ad rpg (battuto il boss si apre la porta!!) e deliri vari, si arriva quindi al dementissimo finale dove un personaggio creduto perduto si ritrova, non si sa come, al sicuro dentro l'elicottero senza spiegazione alcuna! I Predatori di Atlantide aveva buone potenzialità sia in ambito di cinema di serie z e sia in quanto interessante e notevole (visto il budget) film d'avventura: purtroppo l'incapacità di Deodato di saper scegliere quale approccio adottare ha portato ad un film che delude in qualsiasi aspetto lo si voglia vedere: se cercate un film di avventure tutto scivola nel demente, e se cercate un film che vi garantisca sane risate queste arriveranno troppo tardi! Si può evitare.
DUNYAYI KURTARAN ADAM
Regia: Çetin Inanç
Attori: Cüneyt Arkin, Aytekin Akkaya, Füsun Uçar, Hüseyin Peyda
Anno: 1982
Provenienza: Turchia



Murat e Ali, dopo una terribile battaglia spaziale, atterrano in un desertico pianeta e vengono catturati dall'esercito di un malvagio tiranno dal costume di gomma che ricorda un'istrice. Riusciranno a fuggire, si uniranno alla causa degli oppressi e inizieranno così un lungo addestramento che li porterà così a sconfiggere tutte le truppe del dittatore e ad affrontarlo in un'ultima battaglia, con l'ausilio di una leggendaria e mistica spada di cartone...

Meraviglioso rip-off turco della saga di Star Wars (tanto da venire comunemente chiamato all'estero Turkish Star Wars), Dünyayı Kurtaran Adam (letteralmente L'uomo che salva il mondo) è uno dei più grandi capolavori che la cinematografia di serie z abbia mai prodotto, talmente trash che anche solo pensare di stare a descriverne tutte le primizie si risolverebbe in un papiro interminabile. Vi basti solo l'idea: due piloti turchi affrontano un esercito di peluche (si, proprio poveri sfigati costretti ad indossare giganteschi costumi da teletubbies) con arti marziali degeneri, in un montaggio meravigliosamente schifoso e schizofrenico che taglia ogni musica di punto in bianco e rende caotico e indescrivibile ogni scontro o scena action. Le musiche sono tutte rubate illecitamente dalla saga di Indiana Jones (mentre dalla saga di Star Wars e BattleStar Galactica sono prese le numerosissime clip di battaglie spaziali), gli attori è come se non ci fossero, gli effetti speciali "importanti" sono dati da raggi laser disegnati a mano e la regia è di una basicità ed incompetenza preoccupante (primo piano di quello che parla, primo piano di quello che risponde, e ripetere per 10 volte). Ma questo non può ancora darvi l'idea del livello z che si respira in questo ultra low-budget: abbiamo riferimenti al Corano ed Allah; abbiamo il protagonista Murat che in ognuno dei numerosissimi scontri che lo vedono protagonista salta come un ranocchio infinite volte in aria anche quando non serve; c'abbiamo sempre Murat che, da eroe positivo, si mette allegramente a tagliare a metà o a decapitare con le sole mani quei poveri peluche che tentano di sconfiggerlo, c'abbiamo scontri la cui coreografia si risolve nei mostri che attaccano uno alla volta gli eroi, mentre gli altri nello sfondo li vediamo starsene a farsi gli affari propri correndo su se stessi in modo inquietante, e ancora... Ali, il secondo "jedi" della vicenda, che sopravvive ad ogni genere di scontro e poi muore saltando in aria per puro caso su una ridicola mina; gli eroi che fuggono via dall'attacco di alcune patetiche mummie lasciando donne, bambini e vecchi venire da essi massacrati; effetti sonori culto; un'improbabile trama che vede il ridicolo villain tentare di rubare il cervello ad uno dei due eroi, perchè con esso potrà avere ragione su una barriera eretta dal genere umano di pura energia psichica (?!); rocce scagliate in aria coi piedi che esplodono come se dentro ad esse ci fosse nitroglicerina (?!)... E come ciliegina sulla torta, l'unica versione reperibile di questo capolavoro è totalmente virata ad un verde e ad un giallo abbaglianti, per merito di una totale denaturazione dei colori originali, altro artefizio che contribuisce a generare la leggenda che Dünyayı Kurtaran Adam è forse il più grande z movie che l'umanità ricordi. Inutile dire che questo capolavoro è da vedere, e forse non riuscirete a trovare nulla di davvero meglio in ambito spazzatura. Se Dio esiste, è trash.
PRIVE'
Regia: Bruno Mattei
Attori: Claudia Taylor, Dana Ceci, Hugo Barret
Anno: 2002
Provenienza: Italia



Incapace di trovare un'intesa sessuale con il suo partner, la bella Francesca rimane stupita ed eccitata, una sera, dalla visione di un film porno proiettato in casa di amici. La bella ragazza finirà così con il darsi di nascosto al cinema a luci rosse, ma finirà così con il fare innamorare di lei il suo "collega" Bingo...

Nuova, ennesima incursione del dio del trash nel genere erotico. E dopo le ultime delusioni (Capriccio Veneziano docet) ecco finalmente che il grande regista torna a tenere fede al suo leggendario nome, regalandoci un'altro capolavoro del cinema. Privè ha tutto quello che si può desiderare dal grand'uomo: dialoghi di culto, assurdità assortite, nomi geniali! Si parte con la prima sequenza, dove Francesca va a casa di amici e conosce la bella Topazia! Poi i vari amici (rigorosamente tutti 30-40enni) guardano alla tv un film con cavalli che si accoppiano, ed ecco che il membro di un puledro li fa scoppiare in un'ilarità talmente demente e grottesca da far entrare questa sequenza nella storia del cinema di serie z! E poi ancora... musiche rock o drammatiche in un film erotico; scene di sesso dementi (Francesca con un romano vestito da egiziano); un regista di nome Michelle dall'improbabile accento francese che ogni frase che dice è un capolavoro ("le vergini ai lati dell'altare!", "là metteremo il dio Amone con il suo cazzone!"); evoluzioni erotiche trash (c'è pure uno stallone simil-vichingo che copula con una forza pazzesca a mezz'aria, avvinghiato con una catena ad un soffitto!)... e poi c'è il fantastico Bingo, un attore dalla voce così roca che ogni frase che dice è un inno all'ilarità, che in una sequenza di raro spettacolo, vestito con una maschera da caprone (stanno girando una scena di un'orgia satanico-pagana) entra nella storia del cinema trash inneggiando in modo comico al dio Asmodeo, con una voce semplicemente esilarante. Tante perle in un film erotico non si sono mai viste, e anche se Privè rimane un erotico (con tutti i difetti che ne conseguono, in primis la noia per la ripetitività di scene di sesso gratuite) i colpi di genio matteiani lo rendono gradevole come si conviene, per solleticare l'interesse degli amanti di film degeneri.

sabato 5 luglio 2008

KEEPER COACH
Autore: Yoichi Takahashi
Anno: 1998
Casa editrice: Star Comics
Formato: manga (1 volume)



Nuova, ennesima raccolta di lavori di Yoichi Takahashi. Anno 1998, tratto "World Youth" (regia delle tavolte molto più vivace e spettacolare del passato e sproporzioni assurde nelle corporature dei personaggi) e sempre e solo background calcistici: sembra proprio che Yochi Takahashi non riesca a disegnare qualcosa che esuli dal suo sport preferito, e la solita domanda è: "ne vale la pena?". La risposta è cmq sì. Come quasi tutte le storie "extra-Captain Tsubasa", anche Keeper Coach rappresenta una lettura gradevolissima, merito questo della capacità dell'autore di rendere ogni partita o vicenda discretamente avvincente grazie all'irrealismo di fondo utilizzato in ambito calistico. Caso più unico che raro però, Keeper Coach per la prima volta si concentra quasi totalmente sui personaggi invece che sullo sport, e rappresenta la prima opera takahashiana abbastanza psicologica e matura, o perlomeno il primo serio tentativo. E bisogna dire che, sotto certi punti di vista, l'autore sembra essere riuscito davvero a fare centro in questo ambito. Due sono le storie che compongo Keeper Coach: la prima omonima e il lungo Attacco e difesa!. Keeper Coach, ambientato nel contesto del solito torneo regionale di calcio, vede il fenomenale ed estroverso portiere Gunji cercare di sconfiggere il portentoso attacco della squadra del Teioh, da sempre bestia nera della squadra del liceo Shutogakuen nel quale milita. Il grosso portiere è aiutato negli allenamenti da Kyoto, suo coach personale in riposo da un lungo infortunio, che psicologicamente debole e instabile non ha il coraggio nè di dichiararsi alla ragazza che ama nè di riuscire a tornare in campo, per paura di ripetere l'infortunio. Sarà ovviamente Gunji che cercherà di dare una svegliata all'amico, e sarà ancor più prevedibilmente la partita con il Teioh a vedere la rinascita calcistica e sentimentale di Kyoto... Sicuramente il miglior episodio del volume, questa storia di 82 pagine si segnala sopratutto per un tratto nel disegno molto più dinamico e spettacolare del solito, unito a buoni dialoghi (incredibile ma vero!) e alla solita cura del Takahashi nel sceneggiare. E' un peccato che i disegni dei volti siano come al solito abbastanza semplicistici ed anonimi e questo porta quindi a non prendere troppo sul serio le vicende narrate, ma l'avvincente ritmo, la durata perfetta, la spettacolare partita ed il buon script rendono in ogni caso questo Keeper Coach una lettura piacevolissima e gradevole. La successiva Attacco e difesa! è forse la più ambiziosa storia mai scritta da Takahashi. Si tratta di una lunga epopea focalizzata sulla crescita e sulla maturazione di Kosaku e Mamoru, due amici strettissimi che per circostanze drammatiche finiscono più volte con il disperdere le proprie strade. E così, mentre il fortissimo attaccante Kosaku assiste al divorzio dei suoi genitori, vive nella povertà, fallisce l'obiettivo di entrare in una rinomata scuola calcistica e sopratutto sembra abbandonare il suo sogno di poter un giorno entrare in nazionale, il difensore Mamoru segue invece una strada in tutta ascesa, che lo porta a raggiungere i massimi livelli calcistici e a coronare il suo sogno d'amore con Shizuka, ragazza di cui innamorato lo stesso suo amico. Poi la consueta inversione di ruoli, quando Mamoru dimostra tutta la sua fragilità interiore mentre Kosaku affronta la vita con grinta arrivando così a poter nuovamente agguantare i suoi sogni calcistici... Consueta storia di rivalità e amicizia, tragedia greca e riscatto e redenzione, Attacco e difesa! è una storia di amicizia davvero troppo ambiziosa, che nella sua esigua durata (un centinaio di pagine) affronta con estrema sintesi davvero troppo fatti, peccando di presunzione ed arrivando a rappresentare solo una gradevolissima traccia per una storia che meritava una lunga serializzazione in più volumi. Attacco e difesa! non è male, è psicologicamente ben narrato (viene dato moltissimo spazio ai personaggi, a discapito delle partite di calcio ridotte ai minimi termini) e intrigante nella sua drammatica trama, ma è semplicemente gradevole da leggere quando invece aveva tutti i presupposti per poter lasciarsi divorare, se si fosse dato molto più spazio alle partite, alle vicende importanti dei personaggi, etc. Così rimane solo una bella storiella che si legge una volta e basta, un pò una delusione tenendo conto delle potenzialità. In ogni caso il volume Keeper Coach è sicuramente consigliato ai fan di Takahashi: ben disegnato e sorretto da due buone storie, quest'antologia rappresenta, ad ora, l'unico vero tentativo (Hungry Heart escluso, perchè disegnato anni dopo) di Yoichi Takahashi di disegnare storie più profonde del solito e dedicate alla vita reale, piuttosto che al gioco del calcio. Il risultato non è perfetto per evidenti limiti dell'autore, ma merita una letta.

giovedì 3 luglio 2008

STRIKER JIN
Autore: Yoichi Takahashi
Anno: 1999
Casa editrice: Star Comics
Formato: manga (2 volumi)



Persi genitori e fratellino in un tragico incidente stradale, il giovanissimo Jin decide di voler realizzare il sogno del fratellino di creare una squadra di calcio per poter vincere il campionato nazionale. Fenomenale attaccante, Jin inizierà quindi a sfidare tutte le maggiori scuole calcistiche della regione Kagawa, reclutando quindi nella sua squadra (la cosidetta "truppa dei calciatori di Sejima") tutti i vari fuoriclasse da lui sconfitti...

Un Yoichi Takahashi all'estrema potenza, ecco come poter sintetizzare il contenuto dei due volumi che compongono la miniserie Striker Jin. Famoso per aver creato la celeberrima saga di Captain Tsubasa (conosciuto come Holly e Benji, qui in Italia) e, più recentemente, il breve ma appassionante Hungry Heart, nel 1999 Takahashi aveva anche realizzato questa brevissima storia avente come protagonista il giovanissimo Jin, piccolo fenomeno capace di sconfiggere un'intera squadra di 11 giocatori con le sue sole forze. Aspetto fisico da Kojiro Hyuga (Mark Lenders, in Italia) e personalità scavezzacollo alla Shingo Aoi (Rob Denton), Jin è protagonista di una miniserie totalmente fuori di testa, che in due volumi si fa divorare avidamente al punto da reclamarne ancora. I difetti sono sempre gli stessi di quasi tutte le opere takahashiane, talmente triti che ormai li conoscono tutti: personaggi fisicamente sproporzionati (le gambe sembrano delle aste) e dall'aspetto fisico praticamente uguale, tratto caratteristico di una semplicità tale da rendere indifferente ogni scena drammatica, dialoghi inverosimili... ma da sempre l'autore compensa il tutto con partite spettacolari e coinvolgenti ben disegnate, dove ogni legge del calcio o fisica del pallone viene a meno in favore di azioni spettacolari e fuori da ogni realtà. Portieri fenomenali che prendono rimbalzo dai pali della porta, ragazzini delle elementari che spiccano balzi di due metri, il protagonista che segna una media di 5 gol a partita anche a degli adulti.... in Striker Jin siamo proprio all'anticalcio totale, all'inverosimilità talmente assurda che neanche Captain Tsubasa gli si avvicina tanto come pazzia. Ma anche in quest'occasione il divertimento di partite inverosimili e fuori da ogni realtà (tralaltro ben disegnate:il tratto è quello del Road to 2002 quindi ottimi sfondi, una perfetta regia della tavola ed una grande dinamicità nelle posizioni dei giocatori in movimento) riesce a far passare in secondo piano l'assenza totale di realismo, e così ci si arriva ad affezionare, in soli due volumi, alla squadra messa in piedi da Jin. E sopratutto a rammaricarsi per come si arrivi ad un finale totalmente tronco e lasciato ad intuire, questo perchè l'autore ha voluto chiudere improvvisamente la serializzazione per probabile assenza di successo. Se siete alla ricerca di un fumetto avvincente da leggere a cervello rigorosamente spento anche Striker Jin, come quasi tutte le opere di Yoichi Takahashi, non vi deluderà affatto.
Curiosità: alla fine del secondo volume vi è pure un crossover tra la squadra di Jin e la nazionale giapponese capitanata dai vari Tsubasa, Wakabayashi, Misaki, Aoi etc!
HUNGRY HEART
Autore: Yoichi Takahashi
Serializzazione: 2002 - 2005
Casa editrice: Star Comics
Formato: manga (6 volumi)



Fratello di Seisuke Kano, talentuoso centrocampista nipponico acquistato dal Milan, il teppista Kyosuke ha smesso da anni a giocare col calcio, stanco di venire continuamente paragonato al fratello. Sarà la sua compagna di classe Miki Tsukijawaki a fargli riaffiorare la sopita fame di gol, obbligandolo a fare da coach alla squadra di calcio femminile per una settimana. Attaccante nato, Kyosuke si unirà quindi alla squadra della sua scuola superiore Joyo Akanegaoka e, con l'ausilio di altre due talentuose matricole (il centrocampista brasiliano Rodrigo e il portiere di origini inglesi Koji Sakai Jefferson) porterà il gruppo a fare quel salto di qualità che lo porterà ad ambire a qualificarsi al campionato nazionale. Sulla strada del collettivo c'è però il fortissimo squadrone del Kokuryo...

Yoichi Takahashi è un mangaka scarso. Pieno di buone idee, il creatore di Captain Tsubasa soffre sempre di diversi handicap professionali che costituiscono un tratto ricorrente in tutte le sue opere: l'estrema limitatezza nei disegni, di una semplicità e povertà disarmante, e sopratutto una notevole incompetenza nei dialoghi e nelle relazioni personali tra personaggi. Eppure per qualche strana alchimia, si finisce sempre a correrci sopra vista l'immediatezza di quasi tutti i suoi lavori. Hungry Heart non fa eccezione, dimostrandosi l'ennesimo fumetto addictive che si divora più e più volte, anche di fronte ad un tratto davvero poverissimo, fatto di espressioni facciali tutte uguali, varietà nel look dei personaggi tendente allo zero e sproporzioni nei corpi. Disegnato dall'autore nei ritagli di tempo (tra un episodio del Road to 2002 e l'altro), Hungry Heart fin dalle prime battute ricorda spaventosamente il ben più famoso Slam Dunk di Inoue: un teppista (capelli rossi d'ordinanza!) entra nel club di calcio perchè convinto dalla consueta ragazza carina che adora tale sport. Dopo una veloce gavetta (con le immancabili crisi di frustrazione!) il giovane scopre di avere un talento immenso per lo sport, e diverrà così in breve tempo l'asso della squadra. Pur assomigliando notevolmente al capolavoro di Noue, il lavoro di Takahashi però se ne discosta quel che basta per reclamare una dignità tutta sua, anche solo per l'approccio con cui è affrontato lo sport in questione. Se Slam Dunk affronta il basket con piglio ultra-realistico, Takahashi affronta il calcio un pò come in tutte le sue opere, ossia con inverosimilità assortite (anche se non ai livelli di Captain Tsubasa, bisogna ammetterlo) tipo portieri paratutto, tiri che lasciano scie colorate dietro e sfide di attaccanti su chi segna più triplette durante un torneo. Poi ovvio, Slam Dunk è superiore in tutto, ma il confronto vero e proprio s'ha da fare tra Hungry Heart ed il suo più famoso concorrente ossia Captain Tsubasa, entrambi scritti e disegnati dallo stesso autore. E bisogna proprio dire che pur ricordando moltissimo il suo celebre fratello maggiore (sopratutto nei disegni, praticamente identici), Hungry Heart riesce a mantenerne i pregi e a migliorarne sensibilmente i difetti, sopratutto per quel che riguarda i dialoghi e la caratterizzazione dei personaggi: i personaggi di Hungry Heart si ricordano, sono abbastanza attendibili e sopratutto le ragazze non sono più inserite a caso per dimostrare che i giocatori hanno una vita sociale, ma partecipano abbastanza attivamente alla messa in scena della storia. Poi ovvio, Takahashi in quanto a psicologia e relazioni interpersonali tra personaggi rimane sicuramente al di sotto della media di molti autori, ma perlomeno bisogna dargli atto di essersi sforzato al punto tale da rendere almeno non inverosimili lo sviluppo di amicizie e di love story in questo manga. E arriviamo ora alle partite, vero fulcro del manga: viaggiamo più o meno sui binari di Captain Tsubasa, con match dalla lunghezza contenuta fatti da continui abusi di gigantesche e semplicistiche immagini a doppia pagina, ma anche questa volta per pura magia ogni partita si segue con notevole interesse, vista anche la spettacolarità generale di quasi ogni singola giocata. Inutile dirlo, nel calcio takahashiano non vi è assoluto spazio per giocate realistiche ed attinenti alla realtà, ma forse la vera genialità dell'autore sta proprio nel gratificare il lettore con qualsiasi azione calcistica che possa intrattenerlo, artefizio ben difficile da usare in caso di scelta di approccio "reale" allo sport. In ogni caso la discreta caratterizzazione dei personaggi, la spettacolarità delle numerose partite e la gradevole storia messa in piedi (non totalmente focalizzata sullo sport ma anche negli allenamenti, nella maturazione del protagonista, nella sua love story con Miki, etc) rendono Hungry Heart un fumetto sì semplicistico, ma che si legge volentieri più e più volte, anche in assenza di quella profondità che proprio non appartiene all'autore. E bisogna dare atto a Takahashi che riuscire a far passare in secondo piano i suoi vari handicap professionali con fumetti leggeri che si rileggono più e più volte, non è da tutti. Consigliato. Nota: la storia del fumetto e sopratutto il suo brevissimo epilogo serviranno praticamente da traccia per lo svilippo del lungo ed accattivante anime.

martedì 1 luglio 2008

ALEXANDER
Regia: Oliver Stone
Attori: Colin Farrell, Anthony Hopkins, Angelina Jolie, Val Kilmer, Christopher Plummer, Rosario Dawson
Anno: 2004
Provenienza: USA



La vita di Alessandro Magno, uno dei più grandi strateghi e conquistatori della storia dell'umanità. Nato nel 356 a.C. dal re di Macedonia Filippo II, il giovane Alessandro fin dalla giovinezza dimostra un carisma ed un talento al comando (merito anche degli insegnamenti di suo maestro Artistotele) che lo porteranno, sempre giovane, a prendere il potere sconfiggendo tutte le città greche, inglobandole nell'impero macedone per così poi muovere guerra (e sconfiggere) all'impero persiano. Grande sognatore ed idealista, Alessandro sogna di poter creare un nuovo mondo dove tutte le razze e le culture possano convivere, e contro il volere dei saggi e di sua madre si avventurerà, con il grosso del suo esercito, per lo sconosciuto continente indiano...

La storia insegna: quando fin dalla produzione un film si rivela ambizioso, spesso e volentieri l'hype scemata da un risultato finale diverso porta ad una delusione tale che il film viene stroncato ovunque per puro diletto. Alexander ovviamente rientra in questa categoria: quasi 4 ore di film per presentare una delle innumerevoli versioni della vita del leggendario re macedone (se ne contano oltre 5), ed il risultato finale è accolto in modo freddo da tutti e pure candidato ai Razzie Awards nella categoria del film peggiore. Eppure Alexander non è un brutto film. Non ha nulla di memorabile da consegnare alla storia del cinema (in nessun aspetto: interpretazioni, musiche, regia... tutto ordinario), ma tutte queste stroncature lo hanno relegato ad una nomea maledetta che certamente non merita. Per molti Alexander pecca di ambizioni, analizzando sinteticamente troppi avvenimenti importanti e rimuovendone molti di un certo interesse, ma questo approccio è sbagliato, perchè Stone non voleva fare un documentario. Ingenuo sarebbe crederlo, visto che un film che affronta con dovizia di particolari tutta la storia del grande condottiero è irrealizzabile per definizione anche solo per la durata. Il regista infatti proprio per questo ha snellito la storia da tutte le lungaggini, concentrandosi invece a dare spazio alla figura del sovrano in sè. La storia diventa così estremamente lineare e focalizzata totalmente sulla figura di Alessandro, occupata a dargli un ottimo (grazie anche all'interpretazione di un ottimo Farrell) ritratto psicologico e ad evitare la trappola di voler esagerare con la spettacolarità delle imprese che lo vedono protagonista. Gli attori fanno il loro dovere (forse solo la Jolie non è proprio in parte, nei panni di Olimpiade madre di Alessandro), i costumi, le scenografie, i dialoghi e la cura generale posta nel ricreare le ambientazioni storiche sono ineccepibili... purtroppo e a torto le aspettative del pubblico erano esageratamente alte visto il concept del film, l'assenza di spettacolarità (tutto è diretto in modo asciutto e scevro da sensazionalismo) e sopratutto le controversie moraliste sugli atti di omosessualità riguardanti Alessandro e l'amico Efestione, e tutto ciò ha portato molti a liquidare l'opera come "film provocatore" o "kolossal mancato"... Evitate queste idiozie: se non vi spaventa la durata del film e siete appassionati di grandi film in costume storici, Alexander è il film che fa per voi. Non ha nulla di memorabile, offre una delle tante versioni della vita del grande sovrano, ma fa il suo dovere e rappresenta una gradevolissima visione.